Mori al Mattino: la mia innocenza riscatta anche lo Stato

Mori al Mattino: la mia innocenza riscatta anche lo Stato
di Valentino Di Giacomo
Venerdì 20 Maggio 2016, 12:42 - Ultimo agg. 16:02
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È visibilmente emozionato il generale Mario Mori per l'assoluzione, anche in secondo grado, nel processo che vedeva coinvolto l'ufficiale insieme al colonnello Obinu per la mancata cattura nel 1995 del «capo dei capi» della mafia, Bernardo Provenzano. Il generale è stanco, laconico, dopo l'attesa sentenza, ma fa capire da subito con quale energia abbia accolto la notizia. «Queste sfide mi caricano dice il generale dopo il verdetto ero fiducioso in un esito positivo e così è stato. Sono felice di aver potuto duellare alla pari, così come è previsto nei processi, con i miei accusatori e, anzi, queste tensioni mi allungano la vita e mi danno ancor più voglia di andare avanti, mi rafforzano».

Dopo questo verdetto si sente più una vittima o un eroe?
«Eroe certamente no, io sono semplicemente un servitore dello Stato. Forse un po' mi sento una vittima, ma come può vedere, le bugie hanno le gambe corte».Cosa le ha fatto più male di tutta questa vicenda?«Al di là delle accuse specifiche, ciò che più mi ha ferito è stata l'affermazione da parte dei procuratori che io abbia deciso di rinunciare alla prescrizione solo per ingraziarmi i giudici e ottenere un verdetto favorevole. Un colpo fortissimo per chi come me, invece, aveva il solo interesse che anche processualmente emergesse la verità perché non posso consentire che ci siano ombre così infamanti sul mio operato. Solo per questo ho rinunciato alla prescrizione e non posso accettare insinuazioni da parte di nessuno».

Lei ha avuto ruoli apicali all'interno delle istituzioni del nostro Paese: ideatore dei Ros di cui è stato comandante, ha guidato il nucleo anti-terrorismo dopo il delitto di Aldo Moro, direttore dei Servizi Segreti. Perché queste accuse?
«Non so dirglielo, posso solo essere sereno per quanto fatto e andare a testa alta come anche questa sentenza dimostra».Il processo si è svolto soprattutto per le accuse del colonnello Michele Riccio: ha detto ai pm che grazie alle confidenze di Ilardo, si era ad un passo dall'arresto di Provenzano e che sia mancata la volontà di portare avanti la cattura. L'ex colonnello dice di averla avvisata e che lei «stranamente non ebbe alcuna reazione, che il Ros pose ostacoli pretestuosi per scongiurare la cattura» oltre a indurlo a non fare relazioni di servizio sulle confidenze ricevute da Ilardo. «Non so spiegarmi queste accuse, forse Riccio aveva ambizioni di fare carriera. Ma queste storie non hanno retto in tribunale. Su questo si espresse anche il gip del tribunale di Catania, Ferrara, che definì Riccio una personalità incline all'autoesaltazione bollando le sue accuse come farneticanti. Ma non voglio commentarle oltre, mi basta la sentenza».

Sulla sua persona si sono costruite trasmissioni tv, documentari, inchieste. In un articolo del 1987 Leonardo Sciascia parlò di «professionisti dell'antimafia», lo sono anche i suoi accusatori?
«Sciascia con quell'articolo ferì anche chi non era un professionista dell'antimafia e chi non aveva costruito carriere spacciandosi per paladino dello Stato. Oggi però quel pensiero è molto attuale perché anche la rappresentazione mediatica che è stata data della mia persona è stata troppo spesso lontana anni luce da quella che è la realtà».

Si è spiegato come mai in Italia e, in Sicilia in particolar modo, spesso vengono messi sotto accusa apparati dello Stato?
«Questa è una pratica tutta italiana, la Sicilia è una regione meravigliosa e che amo. Forse questo è uno dei prezzi da pagare per avere il privilegio di vivere in una terra così bella».
 
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