Napoli, il dovere di salvare la memoria

di Vittorio Del Tufo
Sabato 17 Marzo 2018, 13:18
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Non sono pietre qualunque quelle dell’antico monastero di San Paolo Maggiore, franate ieri mattina travolgendo cinque operai impegnati nei lavori di ristrutturazione del chiostro, nella zona dei Tribunali. Quelle pietre raccontano la nostra storia: una storia che va salvaguardata e sottratta al degrado perché fa da cemento all’identità collettiva di un popolo, di un territorio. Il complesso di San Paolo Maggiore sorge in un’area, quella del Tempio dei Dioscuri, che reca fin nel tracciato delle strade, nel segno urbanistico, le stigmate del suo passato. Siamo nel cuore dell’agorà, cioè il nucleo centrale della città greca, poi trasformata nel Foro romano di Neapolis. 

Se è presto per individuare le cause (o concause) del crollo, non lo è per sottolineare quanto sia inaccettabile assistere inerti al disfacimento di un patrimonio unico al mondo. Un immenso giacimento d’arte e cultura spesso sconosciuto agli stessi napoletani, e concentrato in poche decine di metri quadrati dove sono transitati secoli di storia e dove la stratificazione urbanistica e architettonica della città è più evidente che altrove. Basti pensare che il vestibolo a crociera del chiostro dov’è avvenuto il cedimento è retto da colonne di granito che facevano parte della preesistente chiesa paleocristiana, a sua volta eretta sui resti di un antico tempio pagano: un palcoscenico a cielo aperto.

Chi da anni si batte per sottrarre all’oblio, alla damnatio memorie, il cuore della città greco-romana sa quanto quel patrimonio sia fragile, e necessiti di una cura e una manutenzione costanti. Parte di esso poggia su un immenso alveare di pietra, il tufo e i cunicoli della Napoli sotterranea; proprio a ridosso dell’area dove è avvenuto il crollo si snodano i percorsi guidati nei labirinti della città capovolta. Da anni gli speleologi impegnati nell’area, come il presidente di Napoli Sotterranea, Enzo Albertini, segnalano il pericolo derivante dalle infiltrazioni che raggiungono il sottosuolo; infiltrazioni che provengono dall’intera area conventuale soprastante, e dalla sede stradale fino a San Gregorio Armeno. I monumenti più importanti della città poggiano sull’argilla: c’è un problema drammatico di tenuta del sistema fognario, già collassato in più punti. Prima di effettuare i lavori sono state effettuate tutte le doverose verifiche? E quanti anni ancora dovremo aspettare prima che i restauri previsti dal progetto Unesco vengano ultimati?

Tutelare i monumenti a rischio vuol dire, innanzitutto, salvaguardare la nostra memoria. L’enorme basilica di San Paolo Maggiore - che si erge sull’antico tempio dei Dioscuri - rappresenta una delle tracce più straordinarie della civiltà romana a Neapolis.

Un monumentale luogo di culto dedicato ai due eroi Castore e Polluce, su cui, per sovrapposizioni successive, fu poi edificato un maestoso tempio cristiano, dedicato a San Paolo, per celebrare la vittoria dei napoletani sui Saraceni. Il culto dei Dioscuri - i due fratelli di straordinaria bellezza costretti a vivere e morire a giorni alterni - è tra i più antichi della città. Nata a Sparta, la leggenda dei Divini Gemelli, figli di Zeus, si diffuse rapidamente in tutta la Magna Grecia. 

Al pari del culto di Apollo e di Demetra Attica, quello di Castore e Polluce fu tra i più diffusi tra gli abitanti di Neapolis, e potrebbe essere legato ai più antichi miti di fondazione della città. Nell’Italia meridionale i due eroi venivano venerati soprattutto come protettori dei naviganti. Castore eccelleva nell’arte della guerra ed era un sublime domatore di cavalli; Polluce era il miglior pugile del suo tempo. Entrambi presero parte alla spedizione degli Argonauti per la conquista del Vello d’Oro. 

I due chiostri monumentali di San Paolo Maggiore furono eretti alla fine del sedicesimo secolo dai padri Teatini proprio nell’area del tempio dei Dioscuri. Il crollo è avvenuto nell’area del chiostro grande, prospiciente all’area del Teatro romano, dove si esibì Nerone. Un’antica leggenda vuole che l’acqua del pozzo di San Paolo, che sorge al centro del chiostro piccolo, fosse la più fresca della città e che i fedeli vi accorressero per dissetarsi.
Di tali e tante memorie l’antico tempio dei Dioscuri è stato testimone muto per centinaia di anni, sotto lo sguardo di passanti (ieri come oggi) spesso distratti. O assuefatti al degrado, e incapaci per questo di guardare oltre lo strato di polvere che si è posato sui monumenti del centro antico. Monumenti che furono cari a Bartolommeo Capasso, che dedicò loro il suo libro più appassionato, quella Napoli Greco-romana che è ancora oggi una miniera di informazioni preziose, si cui si sono formate generazioni di archeologi. 

Nel 1688, a causa di un devastante terremoto, le colonne del tempio crollarono, e le rovine rimasero per anni sul selciato, ingombrando la piazza. Qualcosa ancora oggi sopravvive di quell’antico splendore: le due colonne in stile corinzio ancora visibili davanti alla facciata della chiesa. Fino al 1972, in due nicchie della facciata erano conservati anche i busti marmorei dei due Dioscuri, Castore e Polluce (ritrovati tra le fondamenta del tempio nel 1578). Ma dopo il restauro, si preferì portarli al Museo Archeologico per sottrarli, evidentemente, a un futuro di degrado e rovina. Quello stesso degrado che ha divorato tanti altri luoghi della nostra memoria e che rischia, oggi, di trascinare nella polvere e nell’abbandono anche la maestosa basilica di San Paolo Maggiore, ovvero un pezzo della nostra storia. 
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