Pannella, addio tra jazz e lacrime
Bonino: elogi, puzza di ipocrisia

Pannella, addio tra jazz e lacrime Bonino: elogi, puzza di ipocrisia
di ​Pietro Perone-Inviato
Domenica 22 Maggio 2016, 01:56 - Ultimo agg. 21:46
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ROMA. Forse lo immaginava un po’ così Marco Pannella il suo «funerale non funerale», un lungo happening politico, evento unico in un’Italia abituata alla mestizia quando di mezzo ci sono i morti. È stata invece una festa l’addio al leader radicale. Che ci fossero qualche migliaia di persone in quella piazza Navona, luogo intimo e campo di tante battaglie per i diritti civili, era scontato, ma neanche il più grande visionario dell’era repubblicana avrebbe pensato, sopratutto in questi decenni di non politica e populismo imperante, di vedere sfilare, in un sabato pomeriggio precocemente estivo, davanti alla propria bara i protagonisti di vecchi e recenti, ma sempre infiniti congressi radicali.

Giovani e ottantenni, una delegazione di detenuti fatta uscire da Rebibbia e un gruppo di rom; gli amici del Burkina Faso e i ragazzi di una sezione di liberali. E ancora il presidente dell’associazione Luca Coscioni, che parla grazie a un impianto di sintesi vocale, insieme con una band di jazz, genere che a Marco piaceva da impazzire. Si parte e poco dopo arrivano le note di When the Saints Go Marching In. Poi si va avanti fino a sera inframmezzando musica a un fiume di parole, interminabile carosello di voci, racconti, passioni, esperienze di una vita, quella vissuta insieme con Giacinto detto Marco che ora potrà tornare sulle note zigane di un amico musicista nella sua terra, Teramo, da cui era partito per cambiare il mondo. 

Sono le 14 quando la bara di Pannella entra in piazza sotto un sole cocente e lo scroscio di applausi piano piano si diffonde nei vicoli di Roma. Attacca Rita Bernardini, dietro il feretro si intravede Emma Bonino, il “soldato” mai “soldato” accusato negli ultimi tempi dal leader di essersi disinteressata del partito, tanto da non farsi sentire neanche in questi cento giorni alla “Panetteria” aspettando Godot. Ma ora l’ex commissario europeo é al suo posto, non solo nella camera ardente come ha fatto l’altro giorno a Montecitorio, ma sul palco pure se il termometro segna trenta gradi e le condizioni di salute non lo consentirebbero. Parte il coro, scatta l’applauso per anticipare l’intervento di Emma che ora parla con le parole di Marco: ricorda le “sue complessità”, sottolinea che i radicali non sono “solo quelli dell’aborto e del divorzio ma che andarono pure nella Sarajevo assediata” tanto che il sindaco di quella città si iscrisse poi al partito transnazionale. Ricorda Bonino che gli ex ragazzi di Pannella sono quelli del “progetto gioioso” di Ventotene, gli stati uniti d’Europa che doveva accogliere i profughi e non cacciarli perché “sono – dice - come i nostri nonni emigranti”. 

Eccoli gli eredi di Croce e Spinelli dietro il feretro di un grande leader con un “grande senso delle istituzioni” e ugualmente trattati diverse volte nella storia del Paese come un incidente della democrazia, come quando Pannella portava avanti a oltranza, fino ad annoiare tanti, i suoi scioperi della fame, si imbavagliava in tv, tirava fuori la lingua in tv durante un confronto con Andreotti o si faceva arrestare per chiedere la depenalizzazione dell’hashish. E ancora come quando ai tempi della “Milano da bere” di craxiana memoria avvertiva circa i pericoli di un debito pubblico che rischiava di portarci sul binario morto della crisi economica. Per questo, dice con voce ferma Bonino, ora “sento una puzza di ipocrisia lontano un miglio. Benvenuti se vi siete ricreduti ma allora appoggiateci nelle nostre battaglie!”. E tanto per essere più chiari, chiede un voto a cominciare dalle elezioni comunali, insomma “amateci un po’ meno e votateci un po’ di più”. 

Non avrebbe fatto così anche Marco nell’orazione funebre di un compagno di partito se c’erano le elezioni di mezzo? Bonino, nonostante le recenti incomprensioni, tiene alta la bandiera radicale, ugualmente Gianfranco Spadaccia, un altro della vecchia guardia, tra i primi quattro entrati in Parlamento nel lontano 1977. Amarcord di una politica che diventava in quegli anni tutt’uno con la storia personale, tanto da trasformare il partito in una sorta di famiglia allargata.
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