L'addio a Paolo Graldi e la verità sul caso Siani

Da direttore del Mattino promosse un'inchiesta sull'uccisione di Giancarlo

Paolo Graldi
Paolo Graldi
di Pietro Perone
Domenica 31 Dicembre 2023, 09:12 - Ultimo agg. 1 Gennaio, 15:09
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Fin da subito capì che dopo otto anni avevamo la possibilità di sapere chi aveva ucciso Giancarlo Siani e perché. È stato molte cose Paolo Graldi per il Mattino ma sicuramente, prima come vice di Sergio Zavoli e poi come direttore, ha impresso una svolta decisiva all'inchiesta sulla morte del nostro Giancarlo: «Da oggi vi occuperete solo di questo», disse a me e al collega Giampaolo Longo all'indomani dal primo articolo con cui si riferiva che un pentito del clan Gionta aveva rivelato al magistrato, Armando D'Alterio, che l'interrogava, di sapere qualcosa sul delitto. Notizie di seconda mano, ma in grado di cominciare a squarciare quel muro di silenzi e omertà che avevano avvolto l'inchiesta sui mandanti e gli assassini di un giornalista a cui era stata strappata la vita a soli ventisei anni.

Graldi, oltre a leggere i fatti, riusciva quasi all'istante, e con estrema naturalezza, a intravedere i retroscena di ogni vicenda. Così fece sul caso Siani da cui per circa tre anni non ha mai distolto lo sguardo, nonostante una numerosa redazione da gestire durante mesi particolarmente complicati, scanditi dalla lunga fase di tangentopoli e dai colpi inferti alla camorra grazie al fenomeno dei collaboratori di giustizia. E ancora la stagione dei sindaci eletti per la prima volta dai cittadini con Antonio Bassolino a Napoli; la vittoria di Silvio Berlusconi e le repentine sue dimissioni dopo l'avviso di garanzia inviato dalla Procura di Milano e recapitato nel capoluogo campano durante il G7.

Anni complicati con il caso Siani in cima ai pensieri. È stato Graldi a volere che all'interno della vecchia sede di via Chiatamone ci fosse scolpito il nome di Giancarlo, intitolando al nostro collega la sala riunioni. E per rendere solenne la scelta, commissionò all'artista Mimmo Paladino un'opera su cui è scritto: "Giancarlo Siani, cronista del Mattino ucciso per colpire la libertà di stampa-1995".

Una lastra di acciaio che ci siamo portati appresso nell'attuale sede del Centro direzionale.

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Tante sere trascorse a ragionare, insieme con Pietro Gargano, il collega che è stato più vicino a Graldi, sullo stato delle indagini, l'analisi minuziosa dei "buchi" investigativi del passato e delle molte, troppe cose ancora da chiarire dopo ben otto anni. E ancora la lettura dei verbali che il cosiddetto "pool Siani" riusciva via via a recuperare da affiancare sempre allo studio degli articoli di Giancarlo che, ci disse subito Graldi, «devono essere la vostra guida» durante una lunga inchiesta condotta dal giornale e parallela a quella della magistratura.

Uno dei momenti particolarmente significativi l'ha ricordato Paolo Siani in un post della fondazione intitolata al nostro collega: «Era il 1993, le indagini sull'omicidio di Giancarlo erano ferme, a un punto morto. Dopo pochi mesi dal suo arrivo a "Il Mattino" Sergio Zavoli volle incontrare mio padre una sera molto tardi, lontano da occhi indiscreti. Accompagnai mio padre, già fortemente piegato dal dolore, nella stanza del direttore che era lì ad aspettarci con Graldi, vicedirettore. Fu un incontro straziante. Ricordo le nostre lacrime. Graldi scosso e profondamente commosso ci accompagnò giù e avanti alla porta del giornale in via Chiatamone mi disse sottovoce ma con fermezza: lì prenderemo. Il giornale non si arrenderà, inizieremo le nostre indagini. Ve lo prometto».

Nella notte tra il 24 e 25 ottobre del 1995, quando le rotative del Mattino si fermarono per inserire in esclusiva la notizia dell'arresto di mandanti e killer, il primo pensiero andò al direttore che nell'inchiesta aveva creduto più di noi, una stagione entusiasmante che Graldi ha ricordato senza infingimenti, anche su noi stessi, nel libro allegato al giornale e pubblicato nel 2021: «In quel lungo tempo di attesa defatigata scriveva - la figura di Giancarlo all'interno del giornale non sempre e non da tutti ha ricevuto quel rispetto che avrebbe meritato. C'era chi, piccola minoranza, lo considerava un ragazzotto ambizioso, figlio di buona famiglia, borghese del Vomero che s'era infilato in una storia più grande di lui senza capirne la portata e i rischi, senza capire su quali terreni si sarebbero inoltrate le sue ricerche. Qualcuno, a mezza bocca, di fronte alla voglia di insistere con gli investigatori a non mollare, azzardava perfino l'insulto alla memoria: e se fosse un affare di corna? Succede spesso quando non si viene a capo di niente, quando le ipotesi si accavallano e s'infiltrano nelle analisi le cattiverie, i veleni, le infamie a buon mercato. Di mezzo c'era anche la colpa di qualche ufficio investigativo, tirato per le orecchie, criticato per troppo impegno di routine negli scavi di quella melma. Vi si intravedevano anche complicità con la politica locale e ciò faceva scattare barriere difensive assai permalose. Ma, va chiarito, si è trattato di un rivolo stretto presto prosciugato: va ricordato per rendere più limpido e schietto il merito, l'impegno di quei tanti colleghi che non hanno mai ceduto neppure un momento di fronte al dovere morale e professionale di cercare la verità». A quei colleghi Graldi seppe dare forza e voce.

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