«Sono morti, risarcimento da 600mila euro»
Assicurazioni, maxi truffa sulle polizze vita

La moto e la scena dell'incidente mortale simulato secondo la polizia stradale di Perugia
La moto e la scena dell'incidente mortale simulato secondo la polizia stradale di Perugia
di Luca Benedetti e Michele Milletti
Venerdì 6 Settembre 2013, 11:05
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PERUGIA - Fare l’ indiano. Nel linguaggio comune significa, pi o meno, far finta di non capire pur avendo capito benissimo. In questo caso, significa far finta di essere morti pur essendo sani come pesci. Perch ci sono da incassare oltre 600mila euro di premi assicurativi da due polizze vita. Perché gli indizi raccolti da Giuliano Bellucci e Sandro Piconi, ispettori della squadra di polizia giudiziaria della polizia stradale di Perugia, sono considerati dal pm Massimo Casucci più che sufficienti per processare cinque cittadini indiani con l’accusa di aver ordito, messo in pratica e appoggiato una maxi truffa ai danni dell’agenzia di Bastia di una importante compagnia assicurativa.



Cinque, quattro uomini e una donna. Tutti originari del Punjab e tutti, all’epoca di quella che gli investigatori considerano una truffa a tutti gli effetti, residenti nella zona di Assisi. Uno di loro, arrivato in Italia da diversi anni e conosciuto come “Antonio il pizzaiolo” che di fatto supporta economicamente gli altri tra cui un fratello sposato con la donna del gruppo.



La storia parte dalla fine. Perché, ricostruiscono gli investigatori della Stradale, a fine 2010 gli indiani di Assisi decidono di tornare in patria. Si sono integrati poco e male, di lavoro non ce n’è, e solo il pizzaiolo non può pensare a tutto. Ma decidono di farlo in grande stile, con la truffa che può metterli a posto per la vita.



Quello che raccolgono gli investigatori della stradale è quanto poi scritto nell’avviso di conclusione delle indagini a loro carico firmato dal pm Casucci. E cioè che, «in concorso tra loro» avrebbero «simulato la morte» dei due che nominalmente avevano stipulato le due polizze vita. Una morte «asseritamente avvenuta in India in data 18/11/2010 a seguito di un incidente stradale, al fine di conseguire l’indebito indennizzo da parte dell’assicurazione, previsto in 269.648,81 euro» per l’uno e «322.863,13 euro» per l’altro.



La richiesta di risarcimento danni arriva all’agenzia di Bastia a inizio 2011, e gli agenti cadono dalle nuvole. Sono passati oltre sette mesi dalla stipula delle due polizze, e vista così devono pagare. Ma c’è qualcosa di strano. C’è il fatto che la morte è avvenuta subito dopo i sei mesi previsti come termine minimo per i risarcimenti, c’è anche il fatto che i due intestatari della polizza (oltre la donna, che è beneficiaria di una delle due) sono spariti da Assisi. E c’è anche il fatto che “Antonio”, il pizzaiolo indiano che materialmente di fatto mantiene tutto il gruppo, viene atteso inutilmente per settimane dai datori di lavoro.



Insomma, la puzza di tentata truffa è evidente. Anche in presenza di un certificato di sepoltura dei due, che in India avviene bruciando i cadaveri e spargendo le ceneri. Ma non ci sarebbe invece il certificato di morte. Un ginepraio dal quale dall’agenzia tentano di uscire assumendo degli investigatori privati che a loro volta si mettono in collegamento con un collega in India, il quale non riesce però a fornire elementi validi per dimostrare la possibile truffa. Scatta la querela da parte degli agenti, e viene incaricata la polizia stradale di Perugia di portare avanti le indagini. Nel corso di undici mesi, dall’aprile 2012 allo scorso marzo, gli ispettori Bellucci e Piconi devono districarsi tra le leggi indiane, rilievi inesistenti dell’incidente stradale in moto in cui i due avrebbero perso la vita e una scena dell’incidente che ai loro occhi appare decisamente creata ad arte: targa e fanale di dietro della moto palesemente smontati, tracce di sangue troppo “ad arte” e probabilmente non umano (gli investigatori pensano possa essere di una gallina o due uccise sul posto) e altre incongruenze. Di più, ritagli di giornale probabilmente frutto di “copia e incolla” con un altro incidente mortale e infine, ma non da ultimo, le dichiarazione dei capi famiglia dei due morti in cui si prendono la responsabilità delle morti dei due familiari perché, feriti dopo l’incidente, hanno fermato l’ambulanza che li conduceva all’ospedale pubblico per portarli in uno privato, con i due che sarebbero morti durante il tragitto. E in India, la legge si blocca di fronte all’assunzione di responsabilità del capo famiglia-clan.



Un mondo lontano, lontanissimo, da cui gli ispettori traggono comunque indizi chiari e concreti del tentativo di maxi truffa ai danni dell’assicurazione. Per vivere da nababbi in un mondo in cui lo stipendio medio è di 69 euro. E ora, al processo, questi indizi dovranno diventare prove che i due morti sono vivi come gli altri tre che li avrebbero aiutati nella truffa.
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