​Rigopiano, l’allarme slavine
quattro giorni prima del disastro

Rigopiano, l’allarme slavine quattro giorni prima del disastro
di Paolo Mastri
Martedì 24 Gennaio 2017, 09:06
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Pescara. «Ritardi, incomprensioni, sottovalutazioni». Il procuratore di Pescara Cristina Tedeschini sceglie con cura i termini per definire la gestione dell’allarme sul crollo dell’Hotel Rigopiano. E li cala sul tavolo come un primo verdetto, bollando così il caos delle comunicazioni tra l’albergo e i terminali esterni: Comune, Provincia, Prefettura, titolari e soci, familiari degli ospiti. Dalle 7 di mattina del 18 gennaio fino al muro di gomma che, alle 18,20, respinge la telefonata di allarme di Quintino Marcella, bollata come «bufala». 

Sicuramente la pagina più brutta di questa storia maledetta. Ma nel giorno in cui l’inchiesta per disastro e omicidio colposo plurimo affronta il primo bivio importante, dividendosi in due filoni che setacceranno e separeranno tutto quanto di rilevante accaduto prima e dopo la valanga, le lancette dell’allarme mancato vanno messe indietro almeno fino al sabato precedente, 14 gennaio. È da questo momento, di fronte alla bufera che si abbatte sull’Abruzzo e il centro Italia, che i report quotidiani del servizio Meteomont della Forestale cominciano a innalzare il rischio valanghe fino al livello 4 di mercoledì 18, il penultimo gradino della scala. «Per quello che mi risulta, Meteomont aveva cominciato a dare un rischio valanga estremamente elevato già da tre quattro giorni prima il momento dell’evento. «Meteomont è un servizio pubblico, ha determinati destinatari istituzionali dei suoi bollettini - ha aggiunto il pm - Meteomont ha regolarmente funzionato sempre mandando i suoi bollettini a chi li doveva mandare, ai suoi interlocutori istituzionali. Questo è un fatto, ha funzionato sempre».
 


A pericolo crescente corrisponde una scala crescente di responsabilità, che parte dai Comuni e arriva alle Prefetture. Con una serie di ramificazioni intermedie che gli investigatori guidati dai Pm Tedeschini e Papalia stanno mettendo a fuoco sulla base delle prime carte sequestrate, compreso il piano valanghe della Regione, e soprattutto delle testimonianze verbalizzate a partire da ieri sera da Carabinieri e Forestale. Di certo c’è che le cartine Meteomont in mano agli inquirenti dividono l’Appennino in distretti, collocando la zona di Farindola in un’area che abbraccia Terminillo, Gran Sasso e Monti della Laga. Non possono che essere le autorità territoriali, sulla base dei dati raccolti sul campo, a circoscrivere le zone di reale pericolo e intervenire di conseguenza. 

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