Rigopiano, il bello
e il brutto del Paese

di Massimo Adinolfi
Lunedì 23 Gennaio 2017, 08:39
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«Per rispetto alla bontà e all’amore l’uomo ha l’obbligo di non concedere alla morte il dominio sui propri pensieri». Però c’era neve, neve dappertutto, e un silenzio fatale. Un’impresa anche solo raggiungere l’hotel Rigopiano; poi, una volta arrivati con gli sci ai piedi, perché gli spazzaneve non riescono a salire e il mezzo turbina non è disponibile, scavare, scavare incessantemente, scavare senza sosta tra le macerie dell’albergo sepolto dalla slavina, rinunciando ai cambi di turno, dormendo nelle tende igloo, prestando ascolto ai deboli segnali di vita che giungono da sotto la neve. E fare presto, fare il prima possibile, fare anche l’impossibile per trarre in salvo i pochi sopravvissuti.

Non concedere mai partita vinta alla morte: proprio così pensa Hans Castorp, il protagonista del capolavoro di Thomas Mann, «La montagna dell’incanto», nel capitolo che s’intitola semplicemente: neve. Neve, e lo spettrale silenzio della montagna, neve e una quiete mai prima avvertita, e l’abbuiarsi del cielo, e l’enorme massa nevosa in cui non c’è più niente e nessuno da vedere da nessuna parte. Al protagonista del romanzo quel bianco nulla che cancellava ogni via e ogni sicurezza rivelano però tutto sul conto dell’uomo: sulla sua ora più grave e sul modo in cui è da uomini affrontarla.

Così anche la tragedia consumatasi in pochi minuti, sotto la muta imponenza del Gran Sasso, nel cuore dell’Abbruzzo, nel cuore dell’Italia, dice tutto, o quasi, sul conto del nostro Paese. Leggere oggi la mail che il direttore dell’hotel invia nelle ore immediatamente precedenti la catastrofe, per avvertire che lassù sono tagliati fuori dal mondo, che le strade sono bloccate, che i telefoni non funzionano, che il gasolio sta finendo, che gli ospiti della struttura sono spaventati da morire per le scosse sismiche dei giorni passati, ebbene: fa agghiacciare il sangue.

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