Sicurezza, il buco delle Regioni
soldi mai arrivati ai sindaci

Sicurezza, il buco delle Regioni soldi mai arrivati ai sindaci
di Francesco Pacifico
Venerdì 26 Agosto 2016, 08:40 - Ultimo agg. 20:39
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In teoria quel miliardo dovrebbe andare alle opere di prevenzione contro i rischi sismici. In pratica sarebbe finito, perché il condizionale è d’obbligo, alle altre voci di bilancio delle amministrazioni locali, che soltanto negli anni della crisi si sono visti tagliare circa 40 miliardi di trasferimenti statali. Per questo è in atto da qualche mese una guerra molto dura tra Regioni, Protezione Civile e Comuni, che dopo il terremoto di Amatrice potrebbe scoppiare in maniera fragorosa.

Al centro del contendere ci sono i 965 milioni stanziati per la prevenzione sismica dal decreto 39 del 2009, dopo il sisma de L’Aquila, e destinati a municipi e a abitazioni. Soldi che l’articolo 11 ha già ripartito per gli anni successivi: 44 milioni di euro per il 2010, 145,1 milioni per il 2011, 195,6 per ciascuno del 2012, 2013 e 2014, 145,1 milioni per il 2015 e 44 milioni il 2016. Tutti soldi a disposizione della Protezione civile, che li gira alle Regioni, le quali – a loro volta – prima raccolgono le richieste d’intervento dai Comuni, poi li distribuiscono in base a degli algoritmi che comprendono rischio geologico, metratura dello stabile e numero di popolazione. Soprattutto, la legge prevede che se i fondi non sono spesi, i governatori devono restituirli alla Protezione Civile. Cosa che non sarebbe mai successa, nonostante del quasi miliardo che quest’anno va a esaurimento sarebbe stato speso soltanto il 30 per cento del totale a livello nazionale

Per questo motivo l’Anci e la stessa Protezione civile hanno ottenuto dal governo un tavolo con le Regioni per sbloccare i fondi. Soltanto per l’anno in corso l’Abruzzo, che con dopo il sisma de L’Aquila ha ancora 9mila sfollati, si è visto stanziare per l’annualità 2014 circa 13 milioni di euro, Calabria, Campania e Sicilia sbancano le concorrenti con circa 25 milioni, mentre l’Emilia Romagna ha ottenuto 11 milioni.

Che il piano del governo sia stato un fallimento, lo dice anche la Protezione Civile. In un monitoraggio reso noto lo scorso anno sui 965 milioni in parte stanziati, si scopre che su 8mila Comuni, soltanto 401 «sono stati microzonati» nel 2010. Numero che è salito a 628 nel 2011, a 637 comuni nel 2012, con un contributo medio di circa 13770 euro a Comune. Il livello era di oltre 900 unità.

Guardando invece agli interventi sugli edifici pubblici, abbiamo avuto nel 2010 soltanto 76 ristrutturazioni, nel 2011 146, nel 2012 161 edifici. Quando la Protezione civile si attendeva come minino un migliaio di ristrutturazioni all’anno. Molto lenta la dinamica dei fondi verso altre strutture delicate come i ponti: a fine del 2015 sarebbero arrivate alle Regioni soltanto diciassette piani di interventi sui ponti, contro i trecento considerati potenzialmente a rischio.

Ancora più surreale il bilancio sugli edifici privati: case e capannoni. Nel 2010 si sono avuti 21 interventi con una sola regione che aveva attivato il programma. Nel 2011 si è saliti a 1.192 stabili, nel 2012 a 1.326. Pochissimo se si pensa che nel Belpaese il 70 per cento delle abitazioni è stato realizzato prima del 1970, cioè quando cemento armato, tondini e norme antisismiche sono diventati la regola. Ma al danno si unisce la beffa: il decreto prevede un massimo di 30mila per ogni unità abitativa e 15mila per le cosiddette unità con altri tipi di uso. Cifre che salgono rispettivamente a 40mila e a 20mila in caso di abbattimento e ricostruzione. Risultato? Con questi soldi ci si paga appena l’imbracatura. Lo sanno bene ad Amatrice: a quanto pare, nel comune distrutto dal sisma, 29 famiglie avrebbero chiesto alla Regione il finanziamento, salvo poi fare marcia indietro una volta resesi conto che l’aiuto copriva appena il 40 per cento del totale.
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