«Anch'io, vescovo, ho paura
qui non basta solo pregare»

«Anch'io, vescovo, ho paura qui non basta solo pregare»
di Francesco Romanetti
Sabato 27 Agosto 2016, 08:57 - Ultimo agg. 09:31
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Inviato ad Amatrice

Anche un vescovo può avere paura. Quando la terra trema e quando è dalle viscere profonde della terra che si sprigiona un boato cupo e spaventoso, quando questa cosa che è il mondo sembra che voglia capovolgersi o spalancarsi o spaccarsi e risucchiarci o caderci addosso, quando il pavimento gli scivola sotto i piedi tra il crepitio dei mobili, l’agitarsi forsennato delle pareti e lo strepito delle travi, quando la terra trema e non sai che cosa potrà avvenire un attimo dopo, allora anche un vescovo può avere paura. «Si, ho avuto paura, proprio ieri pomeriggio, proprio qui ad Amatrice, quando è arrivata la scossa delle due e mezzo del pomeriggio...». 

Domenico Pompili ha 53 anni, un crocifisso che gli pende sulla camicia nera sbottonata ai polsi, le scarpe e i calzoni pieni di polvere, i capelli brizzolati che si attaccano alla fronte per il sudore e una bottiglietta d’acqua minerale infilata in una tasca, che ogni tira fuori e sorseggia. Fisico asciutto, il telefono cellulare continuamente in una mano, che squilla ogni cinque minuti, si aggira fra le tende degli sfollati, dove viene fermato ogni dieci passi da qualcuno («mi scusi, sa, vuol dire che sarà un’intervista peripatetica…»). 

Domenico Pompili è vescovo di Rieti da nemmeno un anno, dal settembre scorso. Viene da Acuto, vicino Fiuggi, e per otto anni è stato portavoce della Commissione episcopale per la Cultura e le Comunicazioni sociali. Uomo di chiesa, cita Lutero. E da tre giorni fa la spola tra la sede della diocesi, Amatrice e gli altri piccoli centri colpiti dal terremoto.

Vescovo, che cosa ha visto e che cosa ha pensato quando è venuto ad Amatrice mercoledì scorso, a poche ore dalla scossa che ha distrutto il paese?
«Ho visto una situazione rovesciata, una realtà capovolta: un piccolo centro pieno di storia e arte, un borgo elegante circondato da una natura meravigliosa, devastato e cancellato. E negli occhi degli uomini, delle donne, dei ragazzi e dei vecchi che incontravo, vedevo lo sguardo atterrito di chi non può neanche ancora rendersi conto di che cosa sia accaduto».
Quel giorno papa Francesco la chiamò al telefono alle 7 del mattino. Lei ha riferito che il Papa la incoraggiò a non aver paura. Che altro le disse?
«Furono momenti di grande empatia. Il Papa volle farmi coraggio e dirmi che in una situazione del genere, che mette a durissima prova gli individui, le coscienze e le comunità degli uomini, bisogna starci con impegno, fino in fondo. La paura, la paura della distruzione e dopo la distruzione, è soprattutto il sentimento di incertezza di fronte al futuro, il sentirsi in balìa della precarietà più assoluta. So che una strada lunga e in salita ci attende e attende la gente di questi luoghi».
Lei sta incontrando tante persone. Probabilmente le sta chiedendo un abbraccio anche chi lei non conosce o non aveva mai visto prima. Che cosa le chiedono? E lei, il “pastore delle anime”, che cosa può rispondere?
«Qui ci sono famiglie distrutte. Genitori che hanno perso i figli, figli che sono rimasti senza genitori. Ci sono persone che hanno perso tutto: casa, lavoro, amici, affetti. E bisogna essere accoglienti verso chi si sfoga. Io credo che vada lasciato spazio ad un vuoto, che poi si riempie con le stesse confidenze personali. Anche il pianto è una necessità, a volte una necessità da liberare. Ora è il momento che vengano fuori anche i sentimenti più contrastanti, più feroci, che dilaniano. Poi, certo, mi sento porre una domanda ricorrente...»
Le chiedono perché Dio consente questo?
«Infatti. Io dico che la preghiera non è e non deve essere necessariamente un tranquillo recitare salmodie, ma è una dialettica con Dio. E ricordo le parole di Lutero: “ci sono lodi più splendide in certe bestemmie di disperati, che salgono al cielo, che nelle lodi compassate di persone che stanno bene”. Per chi ha il dono della fede, insomma, è positivo avere un dialogo interlocutorio con Dio».
Concretezza. «Non basta più pregare», diceva Camilo Torres, sacerdote ma non solo…
«Io dico non basta solo pregare. La preghiera è una grande possibilità, per chi ha fede, di guardare alla sostanza delle cose. La preghiera, per persone che non si disperdono, è una straordinaria occasione per raggiungere un obiettivo ed evitare un agitarsi inoperoso. Deve tradursi in impegno. Impegno per gli altri, dunque solidarietà».
 
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