Terremoto. Zamberletti: 36 anni dopo l'Iripinia prevenzione ancora zero

Terremoto. Zamberletti: 36 anni dopo l'Iripinia prevenzione ancora zero
di Generoso Picone
Martedì 30 Agosto 2016, 09:21 - Ultimo agg. 18:04
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Troppe verandine e pochi rinforzi ai solai. Giuseppe Zamberletti osserva con preoccupata delusioni le immagini del terremoto dei Monti Sibillini e pensa a quella norma adottata nel 1984 dopo una scossa di terremoto in Abruzzo e Molise di entità non grave e soprattutto senza vittime. «Era ancora aperta la ferita del disastro in Irpinia e tentammo di fare tesoro dell'esperienza maturata in Friuli. Ero ministro per il coordinamento della Protezione civile e stanziammo dei fondi per intervenire non soltanto sugli edifici lesionati ma soprattutto su quelli che avevano retto alle scosse senza comunque non rispondevano ai requisiti di antisimicità. I proprietari avrebbero potuto beneficiare dei contribuiti per mettere in sicurezza le case in cui abitavano e alla fine ci ritrovammo più verandine che tiranti. Avevamo sprecato un'occasione e molte risorse, peggiorando di fatto la situazione», racconta Zamberletti, il commissario dei terremoti, l'uomo che gestì le emergenze in Friuli dopo il 6 maggio 1976 e in Irpinia dopo il 23 novembre 1980, il padre fondatore della Protezione civile in Italia. L'ex parlamentare della Dc ha oggi 82 anni, vive nella sua Varese, è cittadino onorario di Sant'Angelo dei Lombardi e di numerosi altri Comuni che hanno subìto distruzione morte.

Zamberletti, messa così la faccenda appare inutile ogni piano straordinario del governo per evitare altre sciagure.
«È una questione di cultura. Nonostante le devastazioni, le lacrime, i lutti e gli appelli pare che si torni sempre all'anno zero. Gli italiani non ce la fanno proprio, scatta puntualmente il riflesso condizionato come al tavolo della roulette russa: non è capitato a me, allora posso dirmi salvo. Ma non si capisce che il prossimo colpo potrebbe essere fatale e allora siamo qui a contare i danni e le vittime».

Pessimista, dunque?
«No. Constato che il sistema della Protezione civile invece è rodato, funziona e anche in zone impervie come quelle di Amatrice, Accumoli e Arquata i soccorsi sono immediati ed efficienti. Questo dopo, però: il problema resta la prevenzione. E non si tratta di approntare nuovi dispositivi: così come non si combatte l'evasione fiscale esclusivamente con le leggi, occorre coscienza civile e senso di responsabilità».

Questo naturalmente vale anche per i tecnici.
«Chiaro. Adottare criteri antisismici, nelle fasi di costruzione e di adeguamento dei fabbricati e delle opere, costrituisce oggettivamente una pratica complicata. Ma è obbligatoria, non ci può essere raggiro o alternativa. Ricordo che in Friuli per sostenere l'azione dei tecnici e prepararli alle funzioni che venivano dal terremoto organizzammo dei corsi e sulla scorta di questa esperienza il generale Vittorio Bernàrd, comandante del Genio militare, fese lo stesso in Irpinia e Basilicata. So che l'Università Federico II di Napoli è oggi un centro importante di elaborazione e diffusione dei saperi più avanzati in materia, un riferimento di carattere nazionale. Eppure la cultura della prevenzione non riesce a diventare patrimonio acquisito. Sarà che nessuno vuole metterci del suo, che si pensa sempre che toccherà all'altro e non a sé. Così non si va da nessuna parte».

Manca il senso responsabilità. Lei è d'accordo nell'affidare ai sindaci il compito di gestire la ricostruzione?
«Sì, certamente. Non c'è nessun altro che sappia interpretare e rappresentare le esigenze e le volontà delle comunità terremotate. In momenti del genere le decisioni calate dall'alto sono quanto di peggio possa accadere. Naturalmente c'è bisogno di sostenerli con strutture tecniche importanti e trovo giustissima l'indicazione di nominare un commissario nella persona di Vasco Errani, esperto di enti locali e pubblica amministrazione. In Irpinia i sindaci lavorarono in maniera encomiabile. Quando appena dopo il 23 novembre 1980 vidi Rosanna Repole a Sant'Angelo dei Lombardi le domandai: le metto una responsabilità così grossa sulle spalle, lei è una ragazzina, ce la farà? Ho scommesso e se 36 anni dopo Rosanna Repole è tornata a fare il sindaco vuol dire che è stato premiato il suo coraggio e la sua capacità di governo. Io ho vinto una sfida».


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