Farage, l'artefice del divorzio: agisce
nell'ombra e fa affari con Trump

Farage, l'artefice del divorzio: agisce nell'ombra e fa affari con Trump
di ​Roberto Bertinetti
Mercoledì 29 Marzo 2017, 12:24
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Vinta la battaglia politica per Brexit, è scomparso dalla scena pubblica inglese dopo averla occupata a lungo da protagonista. Da mesi non si hanno quasi più notizie di Nigel Farage, leader populista alla guida del composito movimento che voleva il divorzio dalla Ue perché, garantiva, «così possiamo tornare grandi come ai tempi dell'Impero» e controllare i confini. 

Impedendo, aggiungeva nei comizi, «l'arrivo di milioni di stranieri con due obiettivi in mente: rubare il lavoro ai nostri uomini e violentare le nostre donne». I tabloid vicini alla destra rassicurano a cadenza regolare i lettori: Farage controlla in maniera discreta che non ci siano cedimenti da parte della premier May nella trattativa con Bruxelles che inizierà a breve. Di lui, dallo scorso novembre, ci sono poche foto a fianco di Donald Trump, in precedenza suo socio in affari, e un paio di asciutte dichiarazioni nelle quali afferma che, raggiunto l'obiettivo di staccare il Regno Unito dal continente, ritiene più utile che altri ne raccolgano il testimone. In compenso continua a percepire lo stipendio dall'europarlamento, dove siede dal 1999, a dispetto dell'elevatissimo numero di assenze. La sua incoerenza, del resto, non hai mai turbato chi lo ha eletto in un collegio del Kent. Dove, a partire dallo scorso anno, i reati di origine razziale sono cresciuti del centoquaranta per cento in ragione degli slogan xenofobi sui quali ha costruito una lunga carriera.

A dimostrarlo c'è la storia personale di Farage e il percorso dentro l'Ukip, il partito eurofobico britannico. Che elaborava dotte analisi ma otteneva pochi voti sino a quando alla guida è rimasto Alan Sked, docente alla London School of Economics conosciuto esclusivamente negli atenei della capitale. Più che un partito l'Ukip sembrava un club per accademici impegnati a mettere a punto bizzarre teorie sulle formidabili minacce che sarebbero arrivate all'identità inglese da un rapporto troppo stretto con l'Europa. Le loro idee non affascinarono molti sudditi della regina nel 1994, quando l'Ukip si presentò per la prima volta alle elezioni europee: fu scelto da centomila persone, neppure l'uno per cento rispetto al totale. Intanto Farage aveva deciso di strappare la tessera dei conservatori e arruolarsi tra quei noiosi perdenti che voleva trasformare in un esercito in battaglia contro gli immigrati e i burocrati europei. «Odio la melassa del vogliamoci bene ad ogni costo», disse in un'intervista. Aggiungendo: «Lo compresi nel 1971, non appena un tizio con i capelli lunghi e la faccia da drogato compose una canzone in cui lodava la fratellanza universale. Un'utopia pericolosa». Il «tizio» era John Lennon, il brano si intitolava «Imagine» e secondo la rivista «Rolling Stones» era tra i migliori pezzi musicali di tutti i tempi. Ma Lennon cantava «se riuscissimo a fare in modo che tutti credano nelle stesse cose il mondo sarebbe meraviglioso». Un progetto che a Farage non è mai andato a genio. 

Lui, del resto, viene dall'universo pragmatico dei finanzieri della City, sa bene come speculare prima con il denaro e poi con i sentimenti o i timori della gente. Nato nel Kent in un casa che confinava con una proprietà di Charles Dickens, eredita dal padre il mestiere di broker neppure ventenne. Poi viene costretto a una lunga pausa quando un'auto lo investe mentre esce ubriaco da un pub londinese. Ripresosi al termine di una sfibrante riabilitazione in ospedale, sposa Claire Hayes, l'infermiera che lo accudisce, poi abbandonata nonostante due figlie nate dall'unione. L'ascesa alla guida dell'Ukip coincide con il secondo matrimonio con la tedesca Kirsten Mehr, che lo ha reso padre di altre due bambine. Messo sotto accusa per aver assunto entrambe le signore al parlamento di Strasburgo ottenendo rimborsi per due milioni e mezzo di sterline, si è difeso andando all'attacco dei media e delle istituzioni comunitarie. La sua leadership alla testa dell'Ukip è segnata da un crescendo di insulti, ingiurie e offese verso la Ue a beneficio della working class britannica terrorizzata dalla globalizzazione che causa ingiustizie sociali senza far distinzione del colore della pelle, nostalgica della antica gloria imperiale. Poi è arrivato il trionfo nel referendum, una sorpresa persino per lui. Pochi giorni dopo Farage si è dimesso dalla guida del partito perché non sapeva come gestire il futuro dei sudditi della regina. Intanto incassa con indifferenza lo stipendio versato in conto ogni mese dalle odiate istituzioni europee e dopo Brexit avrà diritto alla pensione, sempre a carico dei contribuenti dell'intero continente. Probabile che continui a fare affari con Trump e, si dice, con gli oligarchi russi. Un'eccessiva visibilità pubblica potrebbe nuocere al finanziere con buoni rapporti in vaste aree del pianeta.
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