Brexit, Johnson non si candida alla guida del governo. In corsa Gove e Theresa May

Boris Johnson
Boris Johnson
Giovedì 30 Giugno 2016, 13:02 - Ultimo agg. 1 Luglio, 14:41
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L'ultimo colpo di teatro lo ha messo a segno scomparendo d'improvviso dalla scena, come un illusionista consumato. Boris Johnson l'istrione, dopo aver vinto il referendum sulla Brexit e costretto il suo amico-nemico David Cameron a fare i bagagli, si fa da parte. BoJo cede il passo a Theresa May, ministro dell'Interno in fama di euroscettica, poi sostenitrice quasi invisibile del fronte referendario pro-Ue e oggi paladina d'un divorzio da Bruxelles che promette di portare a termine senza ripensamenti, ma con cautela, nella nuova veste di candidata favorita alla guida del Partito Conservatore e del governo.

Una candidata che incarna «stabilità», come lei stessa sottolinea, e si propone quale garanzia di «unità», fra i Tory e nel Paese, dopo le spaccature del voto e il caos che ne è seguito: un caos che non sembra aver risparmiato niente e nessuno, inclusa l'opposizione laburista di un sempre più traballante Jeremy Corbyn. Il contrasto d'immagine non può essere più stridente: tanto l'ex sindaco di Londra appariva eccentrico e scapigliato, tanto la May è grigia, ma affidabile agli occhi dell'establishment come dell'elettorato attento all'ordine costituito. «Sono Theresa May e penso di essere la persona migliore per diventare primo ministro di questo Paese», ha proclamato oggi senza giri di parole. «Io non faccio show, lavoro», ha aggiunto con una stoccata implicita a BoJo. Veterana del governo, 60 anni, la titolare dell'Home Office dovrà vedersela soprattutto con il collega Michael Gove, ministro della Giustizia, di una dozzina d'anni più giovane, che - altra sorpresa dell'ultim'ora - ha rinnegato il tandem con Johnson, decisivo nella campagna referendaria, si è rimangiato le innumerevoli smentite di ogni ambizione di premiership e ha presentato la sua sfida in questi termini: «Sono giunto alla conclusione, con riluttanza ma con fermezza, che malgrado le sue grandi qualità Boris non è capace di unire un team e guidare il partito e il Paese nel modo in cui avrei sperato». Amen.

Poche parole per assestare quella che Norman Smith, commentatore della Bbc, ha definito «una pugnalata». Ora non resta che attendere il responso degli iscritti di casa Tory, previsto entro il 9 settembre. Poi sarà il tempo di avviare i difficili negoziati con l'Ue. Negoziati che May è impegnata a condurre con l'obiettivo di spuntare «le migliori condizioni possibili di uscita», evocando l'obiettivo caro ai brexiters di ridurre l'immigrazione «a livelli accettabili», ma al contempo evidenziando la necessità di trattare con gli altri Paesi europei «sulla libertà di movimento» per garantire il mantenimento dell'accesso del regno al lucroso mercato unico. E che Gove ha invece detto di voler impostare con «durezza e attenzione». In sostanza l'attivazione dell'articolo 50 del trattato di Lisbona, per formalizzare il divorzio, è rinviata comunque di alcuni mesi: di fatto al 2017. Ma intanto bisogna vedere chi vincerà.

In lizza ci sono anche tre outsider: l'unico europeista convinto del lotto, il giovane ministro gallese del Lavoro, Stephen Crabb, e due reduci del fronte Leave, l'ex ministro della Difesa Liam Fox e la sottosegretaria al Tesoro Andrea Leadsom. I pronostici si concentrano però su May e Gove, con una prevalenza per la prima. Theresa May ha reso omaggio a Cameron rivendicandone l'eredità politica, ma si è scelta come capo dello staff uno degli alfieri della Brexit ribellatisi al premier uscente all'interno dell'esecutivo, il compostissimo ministro dei Rapporti con il Parlamento, Chris Grayling. Mentre Gove può contare sul sostegno di una Remainer di spicco, la titolare dell'Istruzione, Nicky Morgan.

Il messaggio, in entrambi i casi, vuol essere innanzi tutto unitario. Ma la signora dell'Home Office, pur lontana dal carisma e dalla caratura dell'unica donna premier della storia del regno, la ferrea Margaret Thatcher (rispetto alla quale ha prudentemente respinto ogni paragone) appare forse più solida. E se la sua posizione sul referendum è stata meno coerente, le sue indicazioni ora sono nette: «Brexit significa Brexit, nessun secondo referendum». Che ce la faccia o meno, una cosa è sicura. Non sarà il vero vincitore della partita referendaria, Boris Johnson, al di là di qualche poltrona di consolazione che May potrebbe offrirgli, a raccogliere la posta più alta.

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