Corea del Nord, il discorso di Trump all'Onu? Un «latrato di cane»

Corea del Nord, il discorso di Trump all'Onu? Un «latrato di cane»
di Luca Marfé
Giovedì 21 Settembre 2017, 18:54 - Ultimo agg. 19:43
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NEW YORK - Il discorso pronunciato da Donald Trump in Assemblea Generale? Un «latrato di cane». Parole di sfida quelle del ministro degli Esteri nordcoreano Ri Yong Ho che, raggiunto dai microfoni di alcuni reporter fuori dal suo hotel a Manhattan, ben consapevole degli occhi del mondo puntati su di sé, si prende gioco degli statunitensi ed esprime «tenerezza e tristezza per chi ha scritto quelle ridicole dichiarazioni».

Un clima e una dialettica forse senza precedenti qui tra le mura delle Nazioni Unite, a caratterizzare il confronto tra il leader occidentale e il dittatore orientale. Nella speranza che non salti il tavolo della diplomazia, che non diventi scontro.

Trump ha promesso di «distruggere la Corea del Nord» nel caso in cui si azzardasse ad attaccare. E non ha esitato a deridere con fare dispregiativo Kim Jong-un appiccicandogli addosso l’etichetta di «Rocket man», l’uomo dei missili.

E così, le affermazioni del ministro nordcoreano, più che assomigliare ad un commento, assumono i connotati di una vera e propria risposta: «Se pensava di poterci spaventare con il suo latrato di cane, che dire? Siamo davvero davanti al sogno di un cane». Un riferimento tipico per la cultura coreana a qualcosa di completamente assurdo, privo di senso.

Difficile, se non addirittura impossibile, che la parti si incontrino, che si parlino. Rex Tillerson si trova a Manhattan, ma ha apertamente escluso di voler avvicinare il suo omologo.

Del resto, come affermato dallo stesso presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, giunti a questo punto della vicenda «trattare con i nordcoreani non farebbe altro che rafforzare il loro potere negoziale».

L’amministrazione Trump studia dunque nuove sanzioni, ancor più estreme, che potrebbero spaziare dall’embargo petrolifero, al blocco dei beni e dei conti correnti cinesi facenti capo a Pyongyang. Cina permettendo, naturalmente.

Nel frattempo, nel frastuono delle dichiarazioni che continuano ad accavallarsi, si teme che Kim possa prendere nuovamente l’iniziativa rendendo ogni giorno un po’ più sottile la linea che divide ciò che la comunità internazionale si è fino ad ora affrettata a bollare come «provocazione» da ciò che potrebbe viceversa essere prima o poi interpretato come un vero e proprio «atto di guerra».

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