Europa, ora gli Usa
corteggiano l’Italia

di Romano Prodi
Domenica 23 Ottobre 2016, 09:59
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 Otto anni fa Obama fu eletto presidente degli Usa. Nel diffuso compiacimento per questa nuova energia fu tuttavia osservato che, per la prima volta nella storia americana, arrivava al potere un presidente che non aveva legami con l’Europa. Non per le sue origini, non per i suoi studi e nemmeno per diretti rapporti politici. Una caratteristica che si è poi riflessa nei suoi primi messaggi di politica estera, nei quali il riferimento dominante era l’Oceano Pacifico e il Paese con cui rapportarsi la Cina, mentre il continente nei confronti del quale doveva dimostrare il senso di maggiore responsabilità sociale era l’Africa. La storia, tuttavia, ama procedere in direzioni impreviste: le più grandi sfide e i più gravi problemi sono arrivati ad Obama dal Medio Oriente e, in dimensione del tutto inattesa, dall’Ucraina.

L’Europa si è quindi trovata di nuovo al centro, o vicino al centro, dei conflitti più pericolosi e il Paese con cui gli Stati Uniti si dovevano confrontare non era più la Cina ma la Russia, ritornata militarmente forte e politicamente assertiva dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Un’Europa geograficamente nel mezzo delle più acute tensioni del mondo ma incapace, per le sue divisioni, di elaborare una politica estera comune. Obama, come i suoi predecessori e forse ancora più dei suoi predecessori, ne ha preso atto. Ha quindi regolarmente snobbato ogni incontro con le Istituzioni europee e ha instaurato di volta in volta rapporti privilegiati con i paesi che più degli altri potevano garantire agli Stati Uniti un sostegno, anche se non ritenuto determinante, al loro ruolo di superpotenza. Per lungo tempo il Paese di riferimento è stata la Gran Bretagna, sia per gli antichi legami e la comune lingua, sia per la notevole efficienza dell’apparato militare britannico.

Poi è stato il turno della Germania, in primo luogo per l’accresciuto ruolo tedesco nell’ambito dell’Unione e, successivamente, per il suicidio politico della Gran Bretagna, dovuto alla proclamazione del referendum e al suo successivo esito. A loro volta tutti i Paesi europei, piccoli o grandi, hanno sempre cercato di avere in qualche modo una relazione speciale con gli Stati Uniti. Prima di tutto perché è evidente quanto siano profondi i valori e gli interessi comuni fra Europa e Usa e poi perché, attraverso il sostegno americano, ritengono di essere esentati da ogni grande decisione o responsabilità. Da questa tacita delega ricevuta, agli Stati Uniti deriva il vantaggio di non avere sostanziali problemi di carattere militare o politico con alcun Paese europeo.

Di conseguenza l’Europa viene ovviamente ignorata nei rapporti con la Cina, svolge un ruolo del tutto marginale in Ucraina e nel Medio Oriente e, per effetto delle sue divisioni, lascia agli Stati Uniti la responsabilità primaria dei rapporti politici ed economici con la Russia. Insomma gli Stati Uniti hanno visto con un certo favore che l’Europa nuotasse bene ma che, anche a causa delle sue divisioni, bevesse ogni tanto un poco d’acqua. Sia nel campo politico che, soprattutto, in quello economico. Fra America ed Europa viviamo quindi da anni in quest’equilibrio «squilibrato» che, alla fine, sembra andare bene a tutti, purché non vi sia in questo lato dell’Atlantico un solo paese così dominante da rompere la pur fragile Unione europea.
 
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