Terrorismo, contatti con combattenti dell'Isis: tre espulsi dall'Italia

Foto: Ansa
Foto: Ansa
Domenica 19 Novembre 2017, 14:53 - Ultimo agg. 20 Novembre, 12:25
3 Minuti di Lettura
Avrebbero avuto contatti anche con Monsef El Mkhayar, foreign fighter marocchino di 21 anni condannato a 8 anni dalla Corte di Assise di Milano ad aprile (ma pentito, secondo il racconto di una zia al processo) i due marocchini espulsi insieme ad un tunisino per motivi di sicurezza con un provvedimento firmato dal ministro dell'Interno Marco Minniti. Con quella di oggi salgono a 96 le espulsioni dall'inizio dell'anno, mentre sono 228 dall'inizio del 2015.

Il tunisino, 31 anni, più volte arrestato per droga, era sotto controllo poiché sospettato di essersi recato nel 2013 in Siria, dove avrebbe combattuto come tra le file dell'Isis, per poi tornare in Italia. In agosto è stato rintracciato a Perugia e l'analisi del suo cellulare ha rilevato la presenza di un file audio contenente la predica di un religioso egiziano che, tra l'altro, incitava al jihad armato contro gli ebrei e l'Occidente.

I due marocchini, 25 e 26 anni, erano invece tenuti sotto monitoraggio dalla polizia perchè nei loro profili Fb sono stati trovati contenuti che fanno supporre una vicinanza alla causa jihadista. E soprattutto avevano lo stesso giro di relazioni ed erano in contatto con alcuni foreign fighters marocchini attualmente in Siria ed operativi nella stessa unita dell'Isis dove ancora combatterebbe, secondo gli investigatori, l'estremista milanese Monsef El Mkhayar.

I due potrebbero quindi essere tra i proseliti di Monsef, detto anche "il reclutatore" per la sua opera di convincimento verso coetanei musulmani in Italia a seguirlo in Siria. El Mkhayar, arrivato in Italia da ragazzino, ospite di una comunità per minori nel milanese, guai con la giustizia per alcol e droga, nel 2015, appena 19enne, è partito per la Siria con un amico, arruolandosi nell'Isis, e non è più tornato.

L'amico qualche mese dopo è morto in combattimento.
Dalla Siria Monsef ha tentato di reclutare altri musulmani in Italia, anche minacciando di tagliare loro la testa. Fino ad arrivare a promettere, come risulta dall'inchiesta del pm di Milano Piero Basilone che aveva chiesto il rinvio a giudizio nel 2016 per terrorismo internazionale, di tornare in Italia e farsi esplodere. Ad aprile, durante il processo, aveva testimoniato una zia raccontando che il nipote le aveva detto di voler tornare in Italia. «Ha detto che non ce la fa più a vedere gente sgozzata, teste mozzate - riferì la donna - che vuole scappare dalla guerra perchè non ho trovato quello che cercava». Il processo si era chiuso con la condanna a 8 anni, ma nelle motivazioni della sentenza i giudici avevano scritto che effettivamente c'erano indizi che facevano sperare in un ripensamento dell' imputato, che nel corso di una delle ultime telefonate intercettate pareva nutrire i primi dubbi sul «pellegrinaggio della morte».
© RIPRODUZIONE RISERVATA