Il ministro degli interni catalano: «Sapevamo che l'imam era a Ripoll nel 2016»

L'imam Es Satty, ispiratore degli attentati di Barcellona e Cambrils
L'imam Es Satty, ispiratore degli attentati di Barcellona e Cambrils
di Paola Del Vecchio
Giovedì 31 Agosto 2017, 09:36
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Madrid. I Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, sapevano almeno dal gennaio 2016 che Abdelbaki Es Satty, l’imam marocchino ispiratore della strage a Barcellona, viveva a Ripoll, in Catalogna. Ma non fecero nulla, né avviarono un’inchiesta sul suo conto, perché “non risultava indagato”. Lo ha detto oggi alla radio Cadena Ser il ministro degli interni catalano, Joaquim Forn, smentendo quanto aveva ripetutamente sostenuto nei giorni successivi agli attentati di Barcellona e Cambrils, che hanno provocato 16 vittime.
 
Forn ha assicurato che nel gennaio di tre anni fa, arrivò alla polizia catalana la richiesta della polizia belga di Vilvoorde di informazioni sul conto dell’imam, che intendeva trasferirsi nella località. «Ci chiesero: sapete qualcosa di questa persona, che vuole venire qui in Belgio?  Gli abbiamo risposto che questa persona non era residente a Barcellona, come loro sostenevano, ma che era a Ripoll e che non avevamo nessun tipo di informazione che lo collegasse ad atti terroristi. A noi non risultava indagato», ha spiegato Joaquin Forn alla radio. Che la polizia catalana sapesse della presenza dell’imam marocchino a Ripoll - dopo poi ha istruito in gran segreto la cellula di 12 giovani jihadisti marocchini autori materiali degli attentati – è una circostanza che era stata finora negata sia dai Mossos d’Esquadra che dal governo catalano. Entrambi avevano parlato di una ‘comunicazione informale’, ricevuta per mail all’epoca, dal numero due dell’Intelligence catalana. Questi, nella risposta, aveva detto di non avere notizie di Abdelbaki Es Satty, ma sì di una persona con lo stesso cognome: Mustafá Es Satty, indagato nel 2006 in un’operazione canti-jihadista in una moschea di Vilanova i la Geltrú, vicino Barcellona.
 
L’interessamento della polizia di Vilvoorde – in passato il principale vivaio di foreign fighter inviati dall’Europa nelle fila dell’Isis – non suscitò nessun allarme negli investigatori catalani. Mentre la comunità musulmana di Vilvoorde lo espulse subito per i proclami “radicali e inadeguati” fatti nella cittadina belga. Nemmeno la lunga fila di precedenti penali del sedicente imam in Spagna, dove aveva scontato dal 2010 al 2014 una condanna a oltre 4 anni e mezzo di carcere per il traffico di 136 chili di hashish da Ceuta, dopo una precedente condanna di oltre un anno per due reati di lesioni, fece accendere i radar delle forze di sicurezza sul marocchino.
 
Una ragnatela di rapporti lo collegava a personaggi coinvolti nelle stragi dell’11 marzo ad Atocha e, un anno prima, nel 2003, all’attacco suicida alla base di Nasiryah, in Irak, che provocò 19 morti fra i carabinieri 9 nove fra i militari iracheni. Ma, nonostante la trama di relazioni pericolose, l’imam non era sotto l'attenzione dell’antiterrorismo, né spagnolo né catalano. Il suo nome y figurava già nell’operazione ‘Chacal’, sciacallo, compiuta all’indomani degli attentati di Madrid contro presunti reclutatori di soldati della jihad, per inviarli alle zone di conflitto.  I suoi documenti di identità furono ritrovati in casa di Mohamed Mrabet Fhasi,  un macellaio di Vilanova i Geltrú (Barcellona), condannato in primo grado dall’Audiencia Nacional e poi assolto in appello, per aver arruolato terroristi. Fra questi, Belil Belgacem, il ‘martire’ della jihad che, dopo aver raggiunto l’Irak, si suicidò per compiere la strage contro la base italiana di Nasiryah.
 
 Negli ultimi due anni, il leader religioso si era assentato più volte da Ripoll, per viaggiare in Belgio e in Francia. E quegli spostamenti, i contatti avuti all’estero sono solo ora al centro delle indagini. Aveva abbandonato due mesi fa la comunità Annour della cittadina catalana annunciando la sua intenzione di ritornare in Marocco. Invece, aveva istruito in segreto la cellula di giovani jihadisti ai precetti della setta Takfir Val Hijra, la più clandestina e violenta del salafismo, e progettava un attacco ancora più spietato alla sagrada Familia di Barcellona, prima di saltare in aria nell’esplosione del covo di Alcanar, dove aveva stoccato oltre 500 litri di acetone e 120 bombole di gas per gli ordigni letali usati dall’Isis.

Il ministro catalano degli interni ha ammesso che la mancanza di coordinamento fra polizia catalana e corpi della polizia nazionale “è un’evidenza” e che risponde, a suo parere, a “una volontà politica” e non a possibili errori di comunicazione. «L’imam era stato indagato dalla polizia e questa informazione non arrivò ai Mossos», ha assicurato Joaquin Forn. «Se ce l’avessero passata, avremmo agito in un altro modo», ha assicurato il ministro degli interni, che difende l'indipendenza della nazione catalana. 
 
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