Kabul, Emergency e le altre Ong oltre gli attentati: «Restare è un dovere morale»

Kabul, Emergency e le altre Ong oltre gli attentati: «Restare è un dovere morale»
di Mariagiovanna Capone
Venerdì 27 Agosto 2021, 08:00 - Ultimo agg. 16:12
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Le ong italiane non lasciano l'Afghanistan. Le numerose organizzazioni non governative attive nel Paese minimo da un ventennio, che si occupano prevalentemente di aiuti sanitari e di sostegno sociale e lavorativo alle donne, hanno deciso di non abbandonare chi proprio in queste ore ha maggiormente bisogno di loro. Alcune, poi, hanno organizzato insieme al nostro governo il piano di evacuazione delle afghane che collaborano con loro, dopo le minacce di morte e le violenze dei talebani, come le cooperatrici di Pangea onlus, ora al sicuro a Milano, e Nove Onlus. Nessuno lascia l'Afghanistan come Medici senza Frontiere, Emergency, Cisda, Intersos, e altre ong.

Hanno tenuto lo staff, composto soprattutto da donne, nascosto per giorni perché rischiavano stupri, violenze e la morte. Nove Onlus ha immediatamente contattato la Farnesina che ha organizzato numerosi salvataggi di giovani che hanno lavorato ai progetti professionali e di scolarizzazione. Come le coraggiose ragazze che guidavano le Pink Shuttle, le navette rosa di Kabul, a cui non sarebbe stato più permesso spostarsi e viaggiare in vetture in presenza di uomini. «I nostri uffici ora sono chiusi, abbiamo distrutto tutti i documenti, non vogliamo che accedano ai dati» ma l'attività di Nove Onlus prosegue.

Una situazione molto simile a quella vissuta da Pangea, impegnata dal 2003 con progetti per le donne che ha organizzato un ponte aereo per mettere in salvo le sue collaboratrici, picchiate e minacciate dai talebani.

A Kabul gestiva progetti in difesa dei diritti umani delle donne, microcredito ed empowerment per la loro indipendenza sociale. Hanno creato anche una scuola per parrucchiere, collaborato con la scuola per sordi e dato vita a nuove attività come far giocare le ragazze a calcio. Anche l'attività di Pangea prosegue e dai social lanciano l'appello: «Non lasciateci soli». Sono sconvolti dall'attentato di ieri all'aeroporto di Kabul e pur ammettendo di aver salvato centinaia di attiviste sono «consapevoli di averne lasciate moltissime indietro. Non potevamo salvarle tutte, lo sappiamo e il cuore piange per questo ma adesso il silenzio e il dolore provocato dalle voci e dalle immagini che ci arrivano da Kabul, si trasformerà in azione forte perché abbiamo promesso alle tante persone che da 18 anni contano su Pangea che non le avremmo lasciate sole e le promesse vanno mantenute». 

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Women for Women International ha invece sospeso le sue attività e messo il suo personale in sicurezza, ma tuttavia non intende porre fine alla sua missione lanciando una campagna di donazione sul suo sito. Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, è una onlus attiva nella promozione di progetti di solidarietà a favore delle donne afghane sin dal 1999. Sono in costante contatto con le donne che compongono le reti di aiuto soprattutto per le studentesse che esortano a studiare per non perdere l'occasione di un futuro migliore.

«Noi di Emergency restiamo in Afghanistan per sostenere la popolazione. Una popolazione che andava protetta prima e va protetta adesso, non con le armi». L'associazione umanitaria italiana fondata da Gino Strada non teme i talebani e ora più che mai è al fianco della popolazione stremata dalla paura. Nei giorni scorsi il loro ospedale di Lashkar-gah è stato sfiorato dai bombardamenti nel villaggio e alcune schegge hanno raggiunto il muro dell'edificio. Sul tetto dell'ospedale hanno esposto uno striscione affinché anche dall'alto fosse chiaro cosa c'è nell'edificio: un ospedale pronto a offrire cure a chi ne ha bisogno. In un Paese di poco più di 30 milioni di abitanti, una persona su 6 ha ricevuto il loro aiuto, offrendo assistenza, cure gratuite e di qualità alle vittime del conflitto che dura da 40 anni. 

Anche Intersos, l'organizzazione umanitaria impegnata in particolare nelle province di Kandahar e Zabul, annuncia che non andrà via. «Siamo arrivati nel Paese nel 2001. Negli anni abbiamo assistito tantissime persone, costruito pozzi e garantito l'accesso all'acqua nei contesti più difficili. Non ce ne siamo mai andati e ora più che mai è importante esserci» spiegano. Al momento hanno progetti operativi a sostegno di diversi centri di salute e cliniche mobili impegnate nelle aree più remote. Stessa decisione di Medici Senza Frontiere: «Non ci siamo mai fermati, non lo faremo adesso. In questo momento stiamo svolgendo attività mediche in tutti e cinque i nostri progetti a Herat, Kandahar, Khost, Kunduz e Lashkar Gah. Le emergenze mediche non si fermano in tempi di conflitti e scontri. Abbiamo iniziato a lavorare in Afghanistan nel 1980». 

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