Libia, fermati nel deserto e portati via: ansia per i due tecnici rapiti

Libia, fermati nel deserto e portati via: ansia per i due tecnici rapiti
Martedì 20 Settembre 2016, 12:01 - Ultimo agg. 21 Settembre, 07:57
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«Probabilmente hanno visto un'auto ferma in strada nel deserto e hanno rallentato pensando fosse in panne». Così un ex collega dei due italiani rapiti ieri in Libia - che spiega di aver parlato con un referente libico - ipotizza come sia avvenuto il sequestro, insieme a un canadese, ieri all'alba a Ghat, nel sud del paese, al confine con l'Algeria. I tre lavorano per una società che si occupa di manutenzione dell'aeroporto. Intelligence al lavoro in queste ore, fra le ipotesi quella che possa essersi trattato di un sequestro lampo con immediato pagamento di riscatto, che non si sia chiuso subito. E quella del gruppo criminale comune sembra per ora la pista privilegiata.

È iniziata una fase delicatissima che può diventare pericolosa man mano che passa il tempo. La zona del sequestro è conosciuta dall'intelligence. Si tratta di un'area nella quale imperversano tribù tuareg e trafficanti di ogni tipo. Non mancano infiltrazioni jihadiste. Ma proprio quella del gruppo criminale comune sembra per ora la pista privilegiata per risalire agli autori del sequestro. Come l'esperienza del precedente rapimento dei quattro operai della Bonatti in Libia insegna, tuttavia, il fatto non costituisce alcuna garanzia di una rapida risoluzione del caso. L'Aise si è subito messo al lavoro con i suoi contatti locali per identificare i sequestratori e capire il tipo di richieste che partiranno. Coinvolta naturalmente anche l'azienda Conicos che impiegava i lavoratori e che ha uffici in Libia.

Il rapimento è avvenuto ieri mattina, la Farnesina ha confermato in serata la notizia che era cominciata a circolare su alcuni media. Un lasso di tempo in cui sono stati fatti i massimi sforzi per risolvere velocemente il caso prima che diventasse pubblico. Ma senza risultati. Ora l'obiettivo è capire con certezza chi ha in mano gli ostaggi e che tipo di contropartita vuole; quello che è da scongiurare è il passaggio di mano ad altri gruppi, di matrice jihadista, che potrebbero utilizzarli per rivendicazioni politiche contro la presenza italiana e in Libia.


Nell'ottobre del 2014 era sfuggito a due imboscate da parte dei predoni del deserto ma in Libia, dopo un breve periodo a casa, nel bellunese, aveva voluto ritornarci quasi subito. All'agguato di ieri però, Danilo Calonego, 68 anni di Peron di Sedico, non è riuscito a fuggire ed è stato rapito ieri mattina a sud della Libia al confine con l'Algeria con un altro italiano, il piemontese Bruno Cacace, e un canadese dipendenti di una società che lavora per l'aeroporto di Ghat. «La Libia è tremenda dopo Gheddafi - diceva due anni fa - un disastro». Giramondo per vocazione Calonego aveva iniziato a lavorare come apprendista meccanico a Sospirolo (Belluno) per poi trasferirsi per dieci anni in Svizzera e quindi nel 1979 in Libia. Il meccanico bellunese si è sposato due volte - come indicano i quotidiani locali - dalla prima moglie ha avuto due figlie e una terza figlia dalla seconda moglie, una marocchina.

«La vita di Bruno è qui, non in Libia, doveva tornare a casa domenica», ha detto la sorella, Ileana Cacace. «Sapevamo che girava con la scorta», si limita ad aggiungere la donna uscendo per qualche minuto da villa Primula, la casetta a due piani di Borgo San Dalmazzo dove sta aspettando notizie con l'anziana madre, Maria Margherita Forneris, e l'altro fratello, gemello del sequestrato, Claudio.

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