Hornby: «Nuovo referendum?
Sarebbe un disastro dopo Brexit»

Hornby: «Nuovo referendum? Sarebbe un disastro dopo Brexit»
di Marilicia Salvia
Lunedì 27 Giugno 2016, 08:44 - Ultimo agg. 21:25
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Stiamo fermi. Aspettiamo. Simonetta Agnello Hornby, scrittrice e avvocato (a Londra si occupa di diritto minorile e di violenza sulle donne), origini palermitane e passaporto britannico, ha votato fieramente per il remain ma non si straccia le vesti davanti alla vittoria del Brexit: «È la democrazia, che ci piaccia o no». Piuttosto, assiste stupefatta al balletto di voci, proposte, proclami di chi, a frittata fatta, cerca appigli impossibili per ricostruire le uova. «Leggo le mail che mi arrivano dagli amici inglesi - racconta dal Veneto, dove si trova in questi giorni per partecipare a un convegno - e davvero trasecolo: dov'è finita la loro proverbiale flemma?».

Cosa c'è scritto in quelle mail?
«Le proteste di chi ha perso e non si vuole rassegnare. Politici che propongono che non si possa dare valore a referendum che non siano stati votati da almeno il 75% degli aventi diritto. Cittadini che chiedono di invalidare il risultato, inserendo clausole a posteriori che neanche sotto un regime fascista sarebbero state prese in considerazione. Giovani che implorano di poter votare di nuovo: Non avevamo capito niente, dovevamo andare più numerosi a votare, ci siamo fatti fregare dai più vecchi».
Votare di nuovo: la petizione è stata già firmata da due milioni di persone. Non è che davvero i britannici non avevano capito niente?
«È stata una campagna referendaria brutta, nessun politico ha fatto davvero capire quale fosse la posta in gioco. Rivotare? Teoricamente ci si potrà arrivare. Ma serve tempo. E intanto potrebbero cambiare molte cose. Ecco perché io dico: stiamo fermi. Aspettiamo».
Il primo a restare fermo, notizia di queste ore, è Cameron. Fa sapere che non intende chiedere formalmente l'uscita dall'Ue. Lascia la patata bollente al suo successore.
«Ecco, vede? Un'altra furbata. Personalmente non ho alcuna stima di Cameron. È stato lui a volere il referendum, era sicuro di vincerlo. Non si è reso conto che la gente non ne può più di lui, e avrebbe colto questa occasione per bocciarlo».
Vuol dire che giovedì scorso gli inglesi hanno votato contro Cameron e non contro l'Europa?
«Sì. Non è stato il modo più intelligente di comportarsi ma è andata così».
Ed è per questo che oggi gli sconfitti vorrebbero tornare indietro?
«Sì, tornare a votare dopo aver dato alla gente una maggiore possibilità di informarsi sui vantaggi e gli svantaggi che derivano dal restare o dal lasciare l'Unione europea».
Quello che si poteva e doveva fare fino a mercoledì scorso. Sembra davvero incredibile che non sia avvenuto, nella patria della democrazia.
«Gliel'ho detto, è stata una campagna bruttissima. Abbiamo avuto persino una morte terribile, la povera Jo Cox».
Tragedia che sembrava avrebbe fatto pendere la bilancia verso il no alla Brexit.
«Già. Ma purtroppo neanche i laburisti si sono impegnati come avrebbero dovuto».
E infatti adesso si sta consumando la loro resa dei conti. Lei è laburista, come ha vissuto questo disimpegno?
«È stato un comportamento sorprendente e vergognoso. Ed è per questo che continuo a dire: fermiamoci, vediamo cosa succederà ancora. Votare un nuovo referendum, ammesso che ci si possa arrivare, non solo sarebbe costosissimo, ma con questa classe dirigente così scadente si tradurrebbe in un altro disastro».
Intanto gli scozzesi, in maggioranza europeisti, stanno spingendo per ottenere l'indipendenza. La Brexit porterà addirittura alla disgregazione del Regno Unito?
«La Scozia chiede ciclicamente l'indipendenza, non credo che ci sarà un'accelerazione. Vedremo».
C'è un'altra possibilità per la Gran Bretagna di restare in Europa: il governo potrebbe decidere di non ratificare il referendum, che secondo la Costituzione è solo consultivo, e così annullarne gli effetti. Pensa che succederà?
«Teoricamente è possibile, ma politicamente sarebbe un salto mortale. I conservatori, che hanno promosso il referendum, dovrebbero spiegare perché non ne accettano il risultato. Dovrebbero ammettere di aver sbagliato, non lo faranno mai. Peraltro la vittoria del sì è netta, ci sono 4 punti percentuali di differenza: questa è la democrazia, non un gioco. Non possiamo ridicolizzare i milioni di persone che hanno votato sì, dicendo loro che la loro volontà non conta perché non ci piace». (...)