Strage di Manchester, la propaganda della vendetta

di Fabio Nicolucci
Giovedì 25 Maggio 2017, 10:00
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Nella terribile strage dei giovani di lunedì sera a Manchester, il cui unico precedente in occidente è la strage di ragazzi israeliani nella discoteca «Dolphinarium» a Tel Aviv nel 2001, l’unica cosa chiara sono le dimensioni della strage stessa. Perché al contrario di altri episodi di terrorismo su suolo europeo, tutto il resto continua stranamente – dopo due giorni - a rimanere sfuocato, come se ci fossero uno o più dettagli che ci sfuggono. E non è detto che ciò non sia perfino intenzionale.

Molte le domande che continuano infatti a non avere una risposta. La prima riguarda l’autore o gli autori. La bomba – pare artigianale, ma sembra anche molto potente, due caratteri in genere alternativi – l’ha portata con sé il 23enne Salman Abadi, nato in Gran Bretagna da una famiglia libica scappata da Gheddafi. Abadi viveva pochi isolati lontano dal luogo dove ha compiuto la strage di suoi coetanei, in una Manchester che è sede di una consistente comunità di espatriati libici, e che per questo ha visto molti dei suoi membri tornare a visitare i luoghi di origine o i familiari dopo la caduta di Gheddafi. Difficile dunque incolpare ancora una volta il «fallimento» di una intelligence che comunque, dopo la protesta ed escandescenze di Abadi contro l’Imam della sua moschea che aveva fatto un chiaro discorso contro il terrorismo jihadista, lo aveva cominciato a monitorare ed era a conoscenza di questi spostamenti, compatibili con le sue origini. Ma la comunità di origine libica è numerosa. Controllarla tutta è impossibile. Così come impedirne gli spostamenti e visite familiari su base etnica non garantirebbe alcunché se non la vestizione di questo delirio di morte in un sogno di libertà. Del resto dal 2014 sono stati sventati numerosi attentati. La prevenzione inglese ha dimostrato, come quella italiana e al contrario di quella francese e belga – ma vi è, come è noto, un problema tra jihadismo e francofonia - di funzionare. La caratteristica comune a tutti è stata la simpatia ideologica verso lo Stato islamico – in particolare per quelli ispirati dal gruppo britannico dei Muhagirùn – ma senza mai poter provare legami diretti con l’Isis. Questo scenario è cambiato con l’eccidio di Manchester?

Svariati elementi segnalano la possibilità di altri attentatori insieme a Salman Abadi. Ad ascoltare su Al-Jazira il sonoro dell’attentato si odono distintamente due esplosioni, in successione. Se la prima – quella principale - è quella del kamikaze, la seconda è quella di qualcun altro. Un secondo elemento è poi lo «strano» balletto di versioni sulla modalità dell’attacco. Per la prima volta le versioni dello stesso Stato islamico sono state ben tre. La prima, comparsa sul canale ufficiale Nashir, parla dell’esplosione da parte di «un soldato del Califfato» «di cariche esplosive» (tafgìr ‘ubuat nàfida), e non menziona un kamikaze. Dopo qualche minuto da parte dell’agenzia Isis Amaq – poi rimossa - si parla invece dell’azione di «un gruppo (mafraza amnìa, ndr.) della sicurezza appartenente allo Stato islamico», e dunque di un commando. Rivendicazione poi corretta, sempre da Amaq, dove ad esser indicato è un «combattente» (muqàtil, ndr.) dello Stato islamico. Tale incertezza può certo essere il malfunzionamento di una rete di propaganda che ha subito i colpi dell’offensiva a Mòsul.

Ma se si considera che nelle stesse ore nelle quali avveniva l’attentato l’Isis conquistava la città di Marawi nel sud delle Filippine, dove proclamava lo Stato islamico, e attaccava in forze Bosaso in Somalia, il quadro strategico dell’Isis non appare ancora una rotta. Del resto valutazioni prudenti limitano al 20% il territorio perso dall’Isis negli ultimi mesi in Iraq e Siria, e certo il suo consenso tra i sunniti rischia di non diminuire o magari aumentare, se venissero confermati i rapporti che indicano violenze e stupri da parte dell’esercito iracheno che avanza – a fatica - nella regione di Anbar. Così come è incessante la propaganda dell’Isis sui bambini iracheni uccisi dai raid internazionali in Siria e a Mosul. Questo elemento è centrale nell’offensiva mediatica jihadista, e probabilmente non estraneo alla scelta dell’obiettivo di Manchester, in una sorta di orrenda retribuzione. Poche ore dopo l’attentato sono state infatti diffuse dall’Isis molte foto di bambini uccisi (ipse dixit) dai bombardamenti occidentali in Iraq e Siria.

Ma se tale elemento è centrale, lo è in tutto il discorso jihadista. Ecco allora che sorge l’ultimo interrogativo. Considerando tutto ciò, ed anche la risorgenza di Al-Qa’ida, dove Hamza - il figlio ventisettenne di Bin Laden – sta scalando la gerarchia, questo attentato segnala davvero un salto di qualità dello Stato Islamico nel Regno Unito rispetto agli ultimi anni? Oppure è come i precedenti ispirato e non diretto da un humus mefitico di odio e alienazione identitaria? Oppure – ecco il dubbio – è in realtà il tentativo di ritorno di Al-Qa’ida in quella terra dove era forte, tanto da aver compiuto nel luglio del 2005 l’unico attentato più sanguinoso di questo? Al-Qa’ida del resto è molto più radicata in Libia che nel Levante, e l’incertezza della rivendicazione dell’Isis potrebbe segnalare il tentativo di rispondere ad una competizione interna al jihadismo proprio mentre è aspra la lotta contro la Coalizione. Vedremo nei prossimi giorni se a tali interrogativo si riuscirà a dare una risposta. Una risposta esiziale non tanto per la lotta all’Isis quanto per una più efficace prevenzione delle future minacce alla nostra sicurezza e alle nostre società.
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