Onu, Orlando ricorda Falcone e rilancia la sfida alle mafie

Onu, Orlando ricorda Falcone e rilancia la sfida alle mafie
di Luca Marfé
Lunedì 19 Giugno 2017, 22:01
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NAZIONI UNITE - Il mondo si ferma per ricordare Giovanni Falcone. A 25 anni dalla sua tragica scomparsa, l’eco del suo lavoro, della sua passione e della sua determinazione non svanisce, ma, al contrario, si amplifica. E lo fa tra le mura delle Nazioni Unite, sotto lo sguardo attento dei grandi della Terra.
 



Presente per l’Italia il ministro della Giustizia Andrea Orlando che parla con voce ferma e sguardo commosso a pochi passi da un’altra Falcone, la sorella Maria, cui la sala dedica un accorato applauso.

Una vicenda lacerante, capace di scioccare, ma soprattutto di insegnare tanto. Un intellettuale straordinario, simbolo immortale di quella lotta alla criminalità organizzata al centro del dibattito di oggi.

Il magistrato palermitano, oltre ad essere stato capace di dedicare una vita intera al suo sogno di rettitudine, è divenuto il grande pioniere di una nuova interpretazione di sfida alla mafia e alle mafie di tutto il mondo. È sufficiente pensare che, prima ancora dell’esplosione del fenomeno internet, Falcone aveva già evidenziato il rischio legato allo sviluppo delle comunicazioni e quello parallelo della caduta delle barriere linguistiche. Un’intuizione geniale ed allo stesso tempo drammatica che peraltro mette in relazione criminalità organizzata e terrorismo nella complessità dell’attuale fase storica.

Ed è proprio Orlando a sottolinearlo, a raccontarne la grandezza senza troppi fronzoli e con fare diretto. Cita più volte la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, la Convenzione di Palermo del 2000, definendola «la più grande testimonianza che l’operato di persone come Falcone e Borsellino non sia rimasto nel perimetro dei nostri confini». E rilancia indicando l’unica via possibile, individuata appunto nella cooperazione sempre più stretta ed efficace tra gli Stati.

Di Falcone non basta dunque il lascito di caratura internazionale che ha avuto il merito di tradursi nel tempo in una concreta evoluzione della sfera giuridica penale. È necessario che qualcuno raccolga il testimone e che collabori appieno per contrastare il fenomeno mafioso in tutte le sue forme.

Ma è sul piano dell’investigazione finanziaria che Orlando ci va giù duro: «Gli appelli non sono sufficienti, bisogna dirlo e bisogna dirlo in maniera chiara: chi rallenta la cooperazione, vuoi per timidezza, vuoi per sfiducia, vuoi per gelosia della propria sovranità nazionale, è complice delle mafie internazionali. Non esiste nessuna logica di libero mercato - si pensi ad esempio al segreto bancario - in grado di giustificare atteggiamenti che non coincidano con il massimo dell’impegno in questo senso».

La criminalità infrange i diritti umani e la dignità delle persone ed è quindi una questione che arriva dritto al cuore di questo palazzo. Spoglia però di qualsiasi veste di invincibilità perché il tallone d’Achille di questo mostro c’è ed è anche piuttosto evidente: la sete di denaro.

Orlando insiste, dunque: «È proprio lì che si deve andare a colpire. Patrimoni illeciti, sequestri, confische dei beni con un più immediato e più efficace reimpiego degli stessi a favore dei cittadini e della stessa lotta al crimine».

Il ministro cede per un attimo il podio e la sala si riunisce nella riflessione sincera di un minuto di silenzio. Gli occhi sono puntati su di lui e su Maria Falcone. Il tempo sembra fermarsi. Poi riparte di colpo e ci si libera in un applauso che sa di rinascita, di immortalità.

Orlando riprende fiero la parola e chiude il cerchio: «L’Italia è stata costretta dalla necessità a maturare conoscenza e capacità che ha immediatamente messo a disposizione della Comunità Internazionale.
Grazie a questa assemblea per il dibattito. È tempo di analizzare assieme le nuove sfide di prevenzione del crimine nonché il suo impatto sullo sviluppo sostenibile. E di lavorare, tanto a livello locale quanto in una più vasta ottica globale, ad una vera e propria rivoluzione culturale. Perché la mafia si sconfigge anche e soprattutto così».

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