Cile, strappò gli occhi alla compagna,
condannato a 26 anni di carcere

Mauricio Ortega
Mauricio Ortega
di Paola Del Vecchio
Mercoledì 3 Maggio 2017, 11:46 - Ultimo agg. 12:18
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Madrid. Una sentenza attesissima in Cile per uno dei più brutali attacchi contro le donne che ha provocato un profondo choc nella società cilena. Il Tribunale ha condannato alla pena massima di 26 anni e 4 mesi di carcere Mauricio Ortega, l’uomo che un anno fa ha cavato gli occhi alla sua ex compagna, madre di due dei suoi figli, rendendola completamente cieca e dipendente. Dopo i 23 giorni del processo che ha tenuto sulle spine l’intero paese, il tribunale della città di Coyhaique, a 1.400 km al sud della capitale Santiago, ha ritenuto colpevole Ortega di tentato femminicidio, lesioni gravissime e violazione di domicilio, L’uomo dovrà compiere in carcere l’intera condanna, senza poter accedere ai benefici della pena.

“Voglio che sia condannato alla pena massima, perché quello che mi ha fatto non ha perdono”, aveva dichiarato poco prima del verdetto la vittima, Nabila Rifo, di 29 anni, che ha due protesi nei globi oculari ed è condannata alla cecità a vita. L’aggressione il 14 maggio dello scorso anno, quando Maurizio Ortega, padre di due dei quattro figli di Nabila Rifo, la aggredì in strada e le strappò gli occhi.

“La violenza subita da Nabila è l’espressione del paese che non vogliamo. Che la sua sofferenza non smetti mai di commuoverci e chiamarci a un cambiamento”, aveva commentato la presidente del Cile, Michelle Bachelet alla vigilia del giudizio, dopo aver visitato la vittime per la seconda volta negli ultimi mesi, nella sua casa di Coyhaique. Nabila, che con 4 figli a carico lavorava come cameriera, ma ora è inabile, è diventata il simbolo di un paese dove non si ferma la violenza contro le donne, che ha registrato 22 femminicidi dall’inizio dell’anno, e dove l’aborto è completamente vietato, incluso in caso di rischio per salute della gestante. Solo di recente è stato presentato in Parlamento un disegno di legge  per punire le molestie in strada.

“Si infastidiva per qualunque cosa, per quello che cucinavo, per tutto quello che facevo, perché diceva che era mal fatto”, ha testimoniato la vittima in aula. “Mi diceva che ero una battona, una puttana. E più di una volta mi ha trascinata per i capelli per le scale”. Un anno fa, la violenza ha toccato il culmine, dopo una cena in casa, in compagnia di alcuni amici, in cui tutti avevano alzato il gomito. Secondo quanto è emerso dal processo, Nabila e Mauricio Ortega cominciarono a discutere per danaro, perché lei aveva insultato uno degli invitati. Stando alla testimonianza della donna, il compagno cominciò a prendere a calci la porta e la lavatrice, nonostante in casa ci fossero i 4 figli che dormivano.  La coprì di insulti e iniziò a colpirla con schiaffi e pugni. Nabila riuscì a uscire di casa, diretta alla vicina casa della madre, inseguita dal compagno. “Mi disse ‘non litighiamo’ e io mi fermai ad aspettarlo per dirgli che il giorno dopo me ne sarei andata, che non avrei più vissuto con lui”, ha ricordato in aula la vittima. Ma quando gli diede le spalle, per continuare verso casa di sua madre, la donna fu aggredita da Ortega che, con una pietra, la colpì con violenza tre volte alla testa: “Mi finsi morta perché la smettesse di picchiarmi”, il racconto della brutale aggressione, che lasciò Nabila esanime. Quando si risvegliò, era in ospedale con gli occhi bendati, condannata al buio perenne,  e rimase 48 giorni in terapia intensiva, lottando contro la morte. Arrestato 4 giorni dopo il tentato femminicidio, Ortega non ha mai ammesso la sua responsabilità né ha mostrato alcun segno di pentimento. 
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