Berlusconi: il 16 ministri fuori da governo
«Questa legge di stabilità non la votiamo»

Berlusconi: il 16 ministri fuori da governo «Questa legge di stabilità non la votiamo»
di Alberto Gentili
Venerdì 8 Novembre 2013, 14:27 - Ultimo agg. 19:22
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ROMA - Chiuso a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi ha gi scritto il copione del Consiglio nazionale di sabato prossimo.

Un copione che sembra redatto dal fido Denis Verdini e dal plotone dei falchi. E che porta, inevitabilmente, a una resa dei conti con Angelino Alfano e l’ala governativa del Pdl: la richiesta di dimettersi da ministri. Non tanto per aprire la crisi (Angelino & C. il 2 ottobre hanno dimostrato di avere i numeri per tenere in piedi il governo) quanto per acquisire per sé ruolo, status e soprattutto garanzie di leader dell’opposizione.



L’ossessione del Cavaliere, una volta perso il 27 novembre lo scudo da parlamentare, è infatti quella di essere arrestato da qualche Procura. «Napoli, Milano, Bari... c’è solo l’imbarazzo», gli hanno detto all’orecchio i vari Raffaele Fitto e Daniela Santanché. «Se invece chiami il tuo popolo in piazza e se da leader silente e discusso del Pdl che non controlla neppure i suoi ministri, ti trasformi in capo dell’opposizione... Beh, tutto cambierebbe. Le manette ai polsi non te le potrebbero più mettere. Se accadesse, in tutta Europa e in tutto il mondo si griderebbe alla libertà violata e alla democrazia calpestata».



L’IRA DI SILVIO

Berlusconi, «sempre più arrabbiato», «sempre più depresso», «sempre più spaventato» (l’aggettivo dipende dall’interlocutore che lo è andato a trovare) ha ascoltato con attenzione questi ”consigli”. Da qui il copione della rottura. Il casus belli sarà la legge di stabilità. In una sorta di processo truccato, al Consiglio nazionale il Cavaliere esaminerà la manovra economica. Chiederà se porta con sé più tasse, se il fisco sulle prime case è stato davvero cancellato come chiedeva il Pdl. Già pronto il verdetto: ”Così non va bene, questo governo non possiamo più sostenerlo”. «E il passo contestuale», dice uno dei collaboratori più stretti dell’ex premier, «sarà quello di chiedere ad Alfano e altri ministri di dimettersi. Di aprire la crisi. Se non lo faranno, se ne assumeranno la responsabilità». In altre parole: saranno fuori dal partito, dalla Nuova Forza Italia. Lo schema che tanto piace ai falchi.



Alfano, che ieri sera è tornato a incontrare Berlusconi, ha fiutato l’imboscata. L’ex delfino continua a predicare unità e a dire che lui «mai e poi mai romperà» con il padre-padrone. Ma sta preparando le contromosse. La prima è la raccolta di adesioni al documento in otto punti nel quale si giura fedeltà al Cavaliere ma si recita anche il credo nella governabilità. I numeri sembrano essere incoraggianti per gli ”innovatori”: «Al momento abbiamo 312 adesioni», dice un ministro, «e nei prossimi giorni speriamo di arrivare a quota quattrocento. Ci eravamo fermati fino a ieri, fino a quando Berlusconi ha anticipato a sorpresa il Consiglio nazionale...».



Ebbene, se davvero fosse questa la forza dei ribelli, cadrebbe nel vuoto la minaccia di Fabrizio Cicchitto di disertare la conta di sabato prossimo. «I consiglieri nazionali», spiega un altro ministro, «sono ottocento e con i numeri che abbiamo, visto che secondo lo statuto serve una maggioranza dei due-terzi, riusciremmo a fermare lo scioglimento del Pdl e la rinascita di Forza Italia».



Inutile dire che Berlusconi comunque tirerebbe dritto. Tant’è che gli innovatori già studiano le mosse di una probabile battaglia legale sull’uso del nome e del simbolo Pdl. Anche se la prima scelta di Alfano resta davvero l’abbraccio di Silvio o, al massimo, una separazione consensuale.
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