Calenda: «Vogliamo cambiare le regole Ue
con le riforme sfida all'austerità»

Calenda: «Vogliamo cambiare le regole Ue con le riforme sfida all'austerità»
Sabato 22 Ottobre 2016, 08:37
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Ministro Calenda, lei ha detto che il Sud trarrà grande vantaggio da Industria 4.0, il piano di rilancio dell’innovazione e del digitale sul quale lei ha lavorato e che il governo ha inserito nella manovra. Molti però temono che i contraccolpi sull’occupazione potrebbero essere negativi: è così?

«L’innovazione tecnologica, così come la globalizzazione, è un fenomeno epocale che genera opportunità e rischi. Tutto dipende da come la governeremo. Quello che sappiamo con certezza è che non possiamo stare fermi pensando di riuscire a chiuderla fuori dalle nostre società e dalle nostre aziende. Ci sono due rischi che vanno evitati: il primo è la perdita di competitività del settore manifatturiero; il secondo è la polarizzazione tra vincitori e vinti. Soprattutto quest’ultimo fenomeno sta mettendo a rischio la tenuta sociale di tutte le democrazie occidentali. A mio avviso l’unica risposta è quella di aumentare esponenzialmente gli investimenti privati e pubblici su due direttrici: premiare chi compete e aiutare chi rimane indietro. Questo è esattamente lo spirito della nuova legge di bilancio. Non dobbiamo solo porci la domanda “quanti posti di lavoro si perdono con la digitalizzazione?” ma anche “quanti posti di lavoro si perderebbero se le imprese non si digitalizzassero e uscissero perciò dal mercato?”».


Ma perché l’Italia digitale diventi competitiva quanto tempo, concretamente, occorrerà?

«L’Italia è già competitiva come dimostra il record di esportazioni, 414 miliardi di euro, fatto l’anno scorso. Il problema è che non è tutta competitiva. Anche il mondo delle imprese si è andato sempre più polarizzando tra chi ha investito in tecnologia e internazionalizzazione e chi è rimasto legato al mercato domestico e non è riuscito a innovare. Per questo le linee di intervento del ministero sono concentrate su questi due driver di crescita. Finiscono gli incentivi a pioggia e si premia chi investe e si internazionalizza. Aggiungo che lo si fa in modo nuovo attraverso incentivi fiscali automatici che non prevedono passaggi burocratici barocchi che li rendono difficili da usare soprattutto dalle pmi».

Sicuramente la manovra ha dato molte frecce all’arco degli imprenditori: pensa che stavolta sapranno lanciare le loro frecce per lo sviluppo e l’occupazione?

«Dipende da loro. Alla base del piano industria 4.0 c’è un patto di fiducia con le imprese. Noi mettiamo sul piatto 20,4 miliardi di euro di incentivi fiscali agli investimenti in ricerca e tecnologia e un taglio dell’Ires da 4 miliardi di euro l’anno. Sta adesso alle imprese utilizzarli per il meglio. Abbiamo finalmente abbandonato ogni residua volontà di dirigismo. Non indichiamo noi quali settori e quali tecnologie, è l’impresa a dover scegliere e il mercato a verificare se la scelta compiuta è quella giusta. Aggiungo che per supportare il finanziamento degli investimenti abbiamo aumentato del 30% la dotazione del Fondo di Garanzia, faciliteremo in questo modo l’erogazione di 25 miliardi di euro di finanziamenti alle pmi, comprendo l’80% del rischio per chi investe e ha rating intermedi che oggi hanno poco accesso al credito bancario».

Ma allora perché l’Ue continua a non vedere di buon occhio le scelte della manovra? L’Italia non sembra essere simpatica a Bruxelles, forse sbaglia Renzi ad attaccare il rigorismo della Commissione?

«Con la Commissione il Governo si sta confrontando come è normale che accada. Le posizioni mi sembrano molto più vicine che in altri casi del passato remoto e recente. Ricordo che la legge di bilancio prevede un’ulteriore riduzione, la terza consecutiva, del rapporto deficit/Pil. Questo mentre altri Paesi, ad iniziare da Francia e Spagna, rimangono ben sopra il 3%. Renzi fa benissimo a mettere in discussione l’austerità e il fiscal compact. Lo facciamo con l’autorevolezza di chi vuole cambiare le regole rispettandole finché ci sono. Senza un massiccio piano di investimenti pubblici e privati e una profonda riforma istituzionale l’Unione è destinata a declinare sempre più rapidamente. Istituzioni efficienti e investimenti sono la chiave per affrontare la paura del domani che attanaglia i cittadini europei e un contesto internazionale sempre più duro e difficile. Questa è esattamente la linea del governo che si concretizza nella riforme istituzionali e nel piano industria 4.0».

L’Ue però teme che l’esito del referendum sulle riforme costituzionali possa indebolire il governo: che ne pensa?

«Il referendum ha un oggetto molto più importante del giudizio sull’operato del governo. In discussione è quale modello di democrazia vogliamo avere. Oggi nel mondo ci confrontiamo con Paesi autoritari che a prima vista sembrano avere processi decisionali più efficienti. Ci si dimentica che la grande forza della democrazia è la capacità di radicare le decisioni nella società attraverso un processo partecipativo. Ma non possiamo trascurare la necessità che le decisioni vengano prese e implementate in tempi ragionevoli. Oggi l’Italia ha un processo legislativo barocco e una confusione di competenze tra stato e enti locali che mette a rischio la capacità di decidere e dunque anche di competere. La riforma risolve problemi di cui siamo ben consapevoli da almeno trent’anni».

Che effetto le fa sapere che una regione belga, la Vallonia, rischia di far saltare l’accordo commerciale tra Ue e Canada?

Non è la conferma che l’Unione è sempre meno credibile? «Le dichiarazioni del ministro canadese Freeland, qualora fossero confermate, circa la volontà canadese di uscire dal Ceta sarebbero la dimostrazione del gravissimo errore commesso dall’Ue e rappresenterebbero la fine della nostra politica commerciale. Questo accordo, unanimemente considerato come il migliore mai raggiunto dall’Unione e il cui valore strategico per la politica commerciale europea è essenziale, è messo a rischio non per il suo contenuto ma a causa delle procedure interne all’Unione ed ai suoi Stati membri. È impensabile che i benefici economici del Ceta, destinati a una comunità di mezzo miliardo di cittadini, siano compromessi dal parlamento locale di uno Stato membro. Ricordo che il Ceta prevede il riconoscimento, per la prima volta in un paese anglosassone extra Ue, di 41 indicazioni geografiche italiane e un accesso pressoché totale agli appalti pubblici».


L’Italia si era mossa anche attraverso di lei per favorire l’accordo...

«Siamo stati l’unico Paese europeo ad assumersi la responsabilità di invitare le istituzioni e gli stati membri dell’Ue a considerare l’accordo come “Ue only”, sottolineando come in questo caso il percorso che conduce alla firma ed alla successiva ratifica fosse legittimo e democratico. prevedendo l’approvazione del Consiglio e del Parlamento Europeo. Era l’unica strada per mettere in sicurezza il Ceta. Ora è essenziale utilizzare i pochi giorni che ci separano dal vertice Ue-Canada per salvare questo accordo, sperando che vi siano ancora i margini per farlo, e lanciare una urgente riflessione in Consiglio europeo per rivedere queste procedure e renderle compatibili con una politica commerciale efficace».

Torniamo a Capri: i giovani industriali chiedono un “valore aggiunto” per le giovani generazioni: se la sente di garantirlo? E come?

«Nessuno può garantire il futuro ne per le giovani generazioni ne per quelle meno giovani. Il tempo delle promesse e della retorica sui “ristoranti pieni” e’ finito. Il valore aggiunto lo si costruisce insieme. Ognuno facendo il proprio lavoro. Compito della politica non è propagandare le meravigliose sorti progressive dell’Italia nel mondo ma al contrario spiegare con chiarezza e trasparenza rischi e opportunità, compiere scelte sulla base di una visione e verificarne con onestà i risultati. Il mondo è tornato ad essere troppo complesso per spiegazioni semplicistiche e ricette ottimistiche».

Qual è la vera priorità per il rilancio del Mezzogiorno? Il rilancio di Bagnoli, l’alta velocità Napoli-Bari, il ponte sullo Stretto o cosa?

«Non ce n’è una, ovviamente.
Si deve agire su più fronti. Penso che il mezzogiorno abbia bisogno di quello di cui ha bisogno l’Italia nel suo complesso ma con un’intensità maggiore».
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