Fitoussi: «L'Europa preferisce
i disoccupati alla crescita»

Fitoussi: «L'Europa preferisce i disoccupati alla crescita»
di Nando Santonastaso
Mercoledì 19 Ottobre 2016, 09:16
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Non è mai stato tenero con l'Europa, Jean Paul Fitoussi, uno dei più ascoltati economisti internazionali, che ha ormai eletto l'Italia a seconda patria. E anche il giudizio sulla manovra del governo Renzi, appena presentata, rafforza le sue tesi: «È una Legge di bilancio classica, come ne sono state fatte anche in Francia: si poggia su due gambe, le famiglie e le imprese, ma contiene elementi di novità che l'Europa deve considerare nella sua valutazione», dice. E agiunge: «Perché se è vero che una manovra di riduzione dei costi delle imprese si trova dappertutto al punto da sembrare l'unica prospettiva dell'Europa per guadagnare in competitività, non capita tutti i giorni di voler utilizzare fuori dal calcolod eld eficit le spese per la ricostruzione dopo il terremoto. Non sono tanto comuni queste posizioni»:

Vuol dire che è poco credibile il tentativo dei falchi dell'Europa di bloccare una manovra che vuole liberare al contrario risorse per la crescita?
«Intanto mi faccia dire che l'Italia sembra avere una politica più diretta alla crescita di altri Paesi come la mia Francia. E sono altresì sicuro che questo sforzo non piacerà ai tedeschi, anche se a noi in fondo questo atteggiamento della Germania dovrebbe interessarci fino a un certo punto, anzi per niente».
Addirittura?
«Certo. La spesa non piace ai tedeschi, anche quella per il futuro come investimento non è gradita alla Germania. A loro piacciono le riforme strutturali, quelle che - come abbiamo visto - alla fine fanno soffrire la gente. Il paradosso è che più queste scelte fanno soffrire, più vengono considerate virtuose».
È da qui che derivano le politiche di rigidità che tanto fanno discutere?
«È qui che è nata l'Europa delle rigidità ma quest'Europa non ha l'autorità morale per poter imporre scelte condivise e finalizzate alla crescita e al benessere di tutti i suoi abitanti. L'ha persa da molto tempo, direi dall'inizio degli anni 90 perché ha preferito la disoccupazione all'inflazione in un primo periodo e in un secondo periodo, quello per intenderci che stiamo vivendo adesso, l'equilibrio di bilancio all'occupazione».
Torniamo alla manovra, professore: molti accusano il governo di avere favorito soprattutto le imprese, la pensa così anche lei?
«Non credo. Io penso che c'è un momento per le imprese e uno per la gente, per i lavoratori. Il problema è che le imprese non ne hanno bisogno perché alla fine parliamo sempre di una politica non cooperativa, dove ogni Paese cerca di guadagnare delle quote di mercato a discapito dell'altro con costi più bassi. Peccato però che alla fine ci perdano tutti, imprese comprese visto che il mercato non può crescere per via delle politiche di austerità dell'Europa. E allora? E allora bisognerebbe che gli altri Paesi seguano quello che ha iniziato a muoversi verso la crescita ma così non accade».
Ci accusano di non poter chiedere nulla per via del superdebito pubblico con il quale conviviamo da anni: accusa strumentale?
«Il debito alto dell'Italia non è una cosa nuova. E non è una novità che questo debito, molto più elevato di quello di altri Paesi europei, è dovuto soprattutto al fatto che per un periodo piuttosto lungo la gente non ha pagato le tasse. Il debito ha permesso al settore privato e a milioni di lavoratori di avere un tasso di risparmio molto forte: non pagando le tasse, si metteva da parte il guadagno. Ma questo a livello europeo non cambia proprio nulla: il settore privato è più ricco, quello pubblico è più povero, tutto qua».
Insisto, professore: i dubbi e le frenate dell'Europa verso l'Italia e i suoi conti pubblici possono dunque essere superati?
«La verità è che sono tute esagerazioni quelle che arrivano dall'Ue a livello economico: non hanno mai avuto alcun fondamento. E non penso affatto che certe riflessioni possano applicarsi alla manovra dell'Italia: siamo di fronte a ragionamenti dottrinali che derivano dal fatto che queste politiche non sono le stesse per tutti i Paesi. Si vede perfettamente il Paese che guadagna, e cioè la Germania, e si vedono altrettanto nitidamente quelli che perdono, ovvero i Paesi dell'area Sud, del Mediterraneo. Ma si vede purtroppo anche che abbiamo già perso quasi un decennio per la crescita e un altro per il benessere delle famiglie senza che si sia fatto tesoro delle lezioni della storia».
A cosa si riferisce, professore?
«Penso per esempio al risultato delle elezioni per il parlamento europeo, alla Brexit, al rischio del nuovo voto presidenziale in Austria. Non riusciamo a fare tesoro di niente e continuiamo a seguire politiche sbagliate come unico orizzonte possibile. Con una ipocrisia terribile che consiste nel dire che facciamo tutto questo per le generazioni future: ma non abbiamo forse un vergognoso, altissimo tasso di disoccupazione giovanile? Questo sarebbe il sistema per investire sul loro futuro?».
Gli investimenti sono una delle chiavi di lettura della manovra italiana.
«In questa manovra c'è una forte spinta in tal senso, è vero. Ma, vedrete, ora inizierà il solito gioco di influenze tra Italia e Commissione, tra Italia e Consiglio Ecofin. Purtroppo il vostro Paese non è abbastanza sostenuto da altri che sono comunque nella stessa situazione. Penso alla mia Francia, ad esempio, che non so perché non va contro questo assurdo spirito di sacrificio che compromette la speranza».
Obama spinge Renzi, che ne pensa?
«Obama non ha mai cambiato idea: ha sempre pensato che l'Europa sbagliava tipo di politica e ha sempre chiesto a Bruxelles una politica più espansionista alla luce degli ottimi risultati ottenuti negli Usa. In Europa si preferiscono livelli di disoccupazione altissimi: qualcuno dovrebbe spiegarmi perché».