Dopo i trattati di Roma, l'Europa riparte dai migranti e dalla Brexit

Dopo i trattati di Roma, l'Europa riparte dai migranti e dalla Brexit
di Enrico Tibuzzi
Domenica 26 Marzo 2017, 19:39 - Ultimo agg. 27 Marzo, 12:29
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BRUXELLES - Dopo il successo del vertice che ha celebrato i sessant'anni della firma dei Trattati di Roma riparte il confronto con le tante, difficili sfide esterne e interne - dalla Brexit a Trump, dai migranti alle politiche economiche, dalle elezioni francesi a quelle tedesche - destinate a mettere a dura prova il rinnovato slancio unitario mostrato dai 27 nella suggestiva cornice del Campidoglio. «L'Italia ha fatto la sua parte, decisiva e nella direzione giusta», ha commentato il premier Paolo Gentiloni osservando che la dichiarazione di Roma «potrà forse essere disattesa», ma certo è «tutt'altro che banale» ed è stata sottoscritta da tutti i 27, cosa che non fu possibile dieci anni fa a Berlino. Insomma, finalmente «un messaggio di fiducia nel futuro. Merce rara di questi tempi per l'Unione».

Chiusa questa parentesi, da domani però si ricomincia. Con due dossier molto delicati e controversi che attendono al varco i partner europei: la gestione dei flussi migratori e la riforma del sistema europeo d'asilo. Temi caldi che potrebbero già segnare la fine della 'pax romanà. Del resto nessuno, tra quanti seguono e lavorano quotidianamente sui dossier comunitari, ritiene che dopo il summit di sabato scorso i problemi europei saranno risolti con un colpo di bacchetta magica. L'unità mostrata dai 27 resta fragile e sono tante le incognite ancora aperte. A cominciare dalla Brexit.

Mercoledì prossimo la Gran Bretagna ufficializzerà la richiesta di divorzio dall'Unione dando il via a un negoziato che, nonostante gli appelli e gli auspici rilanciati dai leader Ue anche a Roma, non si annuncia né semplice né indolore. Le complesse trattative, avvertono a Bruxelles, rischiano infatti non solo di paralizzare l'operatività europea, ma anche di creare un buco finanziario di decine di miliardi nel bilancio dell'Ue a tutto danno di chi, come l'Italia, già versa più di quanto riceve. Ma anche di chi beneficia di più dei fondi strutturali (come la Polonia) e di chi finora ha ricevuto aiuti grazie, ad esempio, alle politiche di sostegno dell'agricoltura, della ricerca e per la lotta alla disoccupazione giovanile.
 

I delicati equilibri europei, già sottoposti alle pesanti tensioni innescate dai movimenti nazionalisti, populisti e xenofobi che devono la loro forza anche alla contestazione di politiche Ue, in seguito agli effetti della Brexit potrebbero quindi essere ulteriormente destabilizzati. La Polonia e l'Ungheria non vedono l'ora di avere nuovi argomenti per attaccare Bruxelles che accusa Varsavia e Budapest di violare, con il varo di nuove leggi, i diritti umani dei loro stessi cittadini. Marine Le Pen flirta con Putin imitando Salvini. Il neo presidente Usa Donald Trump non perde occasione per soffiare sul vento del protezionismo e pronosticare la fine dell'Ue. I Paesi dell'Est, oltre a non accettare le loro quote di migranti, non intendono rinunciare al dumping sociale che ha causato molte delocalizzazioni. E anche il confronto-scontro tra chi è in favore di politiche di austerità e chi vuole più flessibilità a sostegno della crescita non si è certo esaurito.

«La nostra Unione è indivisibile», hanno sancito i 27 nella carta di Roma dopo aver anche indicato che si agirà «congiuntamente, sempre procedendo nella stessa direzione» ma «a ritmi e con intensità diversi, se necessario». Una necessità su cui in molti sono pronti a scommettere, specie se l'europeista Macron uscirà vincitore dalle presidenziali francesi di fine aprile-inizio maggio. Perché dando per scontato che in Germania in autunno vincerà il fronte europeista (Merkel o Schulz), il motore dell'integrazione europea franco-tedesco si rimetterà in moto insieme ai tre del Benelux (Olanda, Belgio e Lussemburgo). E a quel punto gli altri partner Ue, senza neanche più la sponda del 'contrappesò inglese, dovranno per forza decidere con chi stare e cosa fare.
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