Fair play e aiutini,
avanza il «Gerlusconi»

Fair play e aiutini, avanza il «Gerlusconi»
Venerdì 21 Luglio 2017, 08:37
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Il «serio e garbato» premier Gentiloni, come Berlusconi lo ha definito al Mattino, potrebbe avere proprio nel Cavaliere un insospettabile sostegno se le cose per l'esecutivo dovessero complicarsi sulla linea dei numeri ballerini. A un passo oltre la crisi di governo, c'è il rischio delle elezioni: una prospettiva che non va naturalmente bene al presidente del Consiglio, ma nemmeno al leader forzista che vede naufragare la prospettiva del cambio della legge elettorale, di cui si tornerà a discutere a settembre, e soprattutto vedrebbe bruciare le residue speranze di candidatura, legate alla necessaria riabilitazione da parte della Corte europea. La questione elettorale diventa la base su cui si regge la continuazione dell'esperienza di questo governo. Non sfuggirà che sul decreto legge Lorenzin sui vaccini, approvato ieri al Senato, si è andati avanti col Pd e Forza Italia insieme, facendo leva sull'eliminazione della questione di fiducia (pur inizialmente decisa dal governo), richiesta dagli azzurri in cambio dell'appoggio per arrivare al sì, anche attraverso emendamenti condivisi.

Peraltro da parte di Berlusconi non c'è mai stata una parola antipatizzante verso il premier, che è stato piuttosto destinatario della stima del Cavaliere. Nonostante, sul tema della personalità, siano agli antipodi che più non si potrebbe, l'uno pirotecnico quanto l'altro posato (l'«estintore», come ebbe a definirlo Roberto Giachetti), l'uno facondo quanto l'altro verbalmente parco, Berlusconi non gli può imputare quel che costituisce il discrimine sulla possibilità di una fiducia: la militanza comunista (e questa vale anche per Renzi). Gentiloni comunista non lo è mai stato: semmai ambientalista, poi rutelliano, infine tra i fondatori del Pd. Discendente di nobile famiglia marchigiana, vanta la parentela con Vincenzo Ottorino Gentiloni che diede il nome a uno dei patti più celebri della storia politica italiana, quel «patto Gentiloni» che sancì la fine dell'astensionismo politico dei cattolici, favorendo la maggioranza giolittiana, cioè i liberali: impossibile per Berlusconi non volergli bene.

In realtà, del mondo berlusconiano il contatto più stretto con Gentiloni è il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri. Non si contano i dibattiti che i due hanno fatto insieme. Peraltro una delle primissime prese di posizione dell'attuale governo fu, per bocca del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, a dicembre scorso sulla scalata ostile a Mediaset da parte della Vivendi di Vincent Bollorè, definita «inappropriata».

Gentiloni si occupa da sempre di comunicazione, cioè del regno in cui domina il potere economico del Biscione. E Gentiloni diede il nome a un terremoto che non arrivò mai: cioè il disegno di legge che interveniva sistemicamente sul settore radiotelevisivo. Era il 2006, Gentiloni ministro delle comunicazioni del governo Prodi: l'esecutivo doveva intervenire sulla Legge Gasparri dopo il via libera da Bruxelles alla procedura di infrazione. Prendeva forma così il testo prontamente definito dal Cavaliere «ammazza-Mediaset»: portava il nome di Gentiloni, ma tutto a Cologno Monzese erano convinti che la vera bestia nera era il Professore bolognese. Il ddl interveniva decisamente sulla legge italiana, dovendola adeguare alla normativa dell'Ue in particolare con riferimento ai tetti pubblicitari. La riforma Gentiloni creava la «posizione dominante», che sorgeva laddove un soggetto superasse il 45% della raccolta pubblicitaria. La quale raccolta, per le televisione, subiva una revisione in senso peggiorativo quanto alle percentuali da non superare (dal 18% al 16%). Ma ciò di cui molti si ricorderanno furono le furibonde proteste scatenate via etere su Rete 4 perché la televisione incarnata da Emilio Fede doveva andare sul satellite, insieme a una rete Rai, a beneficio di Europa 7. Non se ne fece nulla.