Provenzano: «Il regionalismo va ripensato è tempo di rafforzare lo Stato»

Provenzano: «Il regionalismo va ripensato è tempo di rafforzare lo Stato»
Provenzano: ​«Il regionalismo va ripensato è tempo di rafforzare lo Stato»
di Andrea Bassi
Mercoledì 10 Giugno 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Ministro del Sud Giuseppe Provenzano, stanno per iniziare gli Stati generali dell'economia. Quali sono le richieste per il Mezzogiorno?
«Anzitutto non li chiamerei Stati generali per una ragione di scaramanzia storica. Ne ho appena parlato con Conte, e il Sud arriverà all'appuntamento con un vantaggio».

Un vantaggio?
«Il piano Sud 2030 da 123 miliardi che è stato il frutto di un lavoro partecipato». 

Quel piano però, è stato scritto prima dell'emergenza Covid?
«Certo, ma resta attuale, per certi versi ancora più urgente, e lo stiamo attuando. Dico di più, è stato l'argine durante la crisi al ripetersi di ciò che è costantemente avvenuto durante ogni emergenza: il dirottamento delle risorse del Sud». 

Non teme che l'avere già programmato 123 miliardi di investimenti, possa lasciare il Mezzogiorno fuori dalla ripartizione dei 170 miliardi del Recovery plan europeo?
«Assolutamente no. È la stessa Commissione a riconoscere un ruolo fondamentale alla coesione territoriale nell'uso dei fondi del Recovery plan». 

Fino ad oggi c'è da dire che l'Italia non è stata un esempio virtuoso nell'uso dei fondi europei.
«Dobbiamo mettere a frutto le lezioni apprese sull'inefficacia di spesa dei fondi strutturali. In questi mesi abbiamo messo in campo diversi correttivi. Uno di questi si è concluso proprio in queste ore e riguarda la riprogrammazione dei fondi per l'emergenza fatta con le amministrazioni centrali e le Regioni».

E cosa comporterà?
«Abbiamo riprogrammato fino ad oggi 9,6 miliardi, di cui 5,3 miliardi delle amministrazioni centrali, e manca ancora una Regione importante come la Sicilia».

A cosa avete destinato queste risorse?
«Anche a spese sostenute durante l'emergenza. Come la didattica a distanza, l'adeguamento degli edifici scolastici, il rafforzamento con i comuni del Sud del sistema dei buoni alimentari, abbiamo finanziato le spese per il personale medico e sanitario. Tutto questo ci ha permesso di fare un balzo rispetto ai ritardi accumulati negli anni sull'uso dei fondi europei. Ci giocavamo la credibilità con la Commissione che ci ha concesso molta flessibilità. Abbiamo dimostrato si può fare. Questa settimana firmeremo gli accordi con i ministeri e le Regioni».

L'emergenza Covid ha fatto emergere una conflittualità tra le Regioni e tra le Regioni e lo Stato Centrale. È dovuto intervenire il presidente Mattarella, per ricordare che solo la Repubblica nella sua unità riuscirà a vincere la sfida. Come si fa a ritrovare questa unità?
«Credo che durante la pandemia abbia prevalso, almeno nel sentimento profondo del Paese, un umore diverso. C'è stato un forte senso di unità nazionale. Penso ai tanti meridionali che sono andati volontari negli ospedali del Nord. Ma una riflessione sull'autonomia deve essere fatta». 

La crisi ne ha messo in luce i limiti, soprattutto sul versante sanitario, e il progetto è stato momentaneamente accantonato, riemergerà?
«Credo che l'emergenza abbia ancora una volta mostrato quanto sia necessario rafforzare i presidi centrali. Lo abbiamo visto nella gestione sanitaria. Vantiamo il sistema sanitario migliore al mondo, ma poi se andiamo a guardarci dentro, ci accorgiamo che ne abbiamo 20 diversi. E questo ha determinato diversità inaccettabili nelle garanzie dei diritti dei cittadini. Ed è un tema che si riproporrà identico nella ripartenza». 

Come si affrontano i divari?
«Non so se siano maturi i tempi per rivedere gli assetti istituzionali, ma...»

Ma?
«Ma l'inadeguatezza del Titolo V della Costituzione è emersa in tutta la sua evidenza. A partire dalla mancanza di una clausola di supremazia dello Stato. Credo comunque che a prescindere dalle riforme costituzionali vadano rafforzati i presidi centrali. Non si tratta di ricentralizzare, ma di centrare lo Stato rispetto alla debolezza storica delle istituzioni. Ed è forse arrivato il momento di fare un bilancio del regionalismo italiano a 50 anni dall'istituzione delle Regioni». 

Il regionalismo non ha funzionato?
«Il bilancio è differenziato, ma se guardiamo la storia di questo Paese, notiamo che la crescita è rallentata purtroppo proprio negli ultimi 50 anni, anche per il venire meno di presidi centrali forti di indirizzo e di investimento. E poi nella discussione sulle autonomie c'è una grande amnesia».

Quale?
«Gli Enti locali. Come ha dimostrato la crisi sono il livello più prossimo ai cittadini, non possono essere dimenticati. Devono diventare protagonisti. E poi mi lasci dire: i diritti di cittadinanza non possono essere diversi a seconda del codice postale. I livelli essenziali delle prestazioni sono una precondizione per la ripresa del confronto sull'autonomia».

Lei ha più volte rimarcato la necessità di investimenti al Sud. Conte ha detto che valuterebbe senza preconcetti anche il Ponte sullo Stretto. Lei che tra l'altro è siciliano, cosa ne pensa?
«Noi dobbiamo collegare Nord e Sud, Est e Ovest. Farlo garantendo non solo infrastrutture moderne, ma anche servizi moderni. Non conta solo il binario, contano anche i treni che ci passano. L'altro giorno è finalmente partito un treno di alta velocità treno che ha unito Torino a Reggio Calabria. Tutta l'Italia ha bisogno di alta velocità. In questi anni il Ponte è stato l'alibi per non fare investimenti ferroviari proprio in Sicilia. Oggi la Palermo-Catania-Messina è finanziata, bisogna accelerare. In un quadro strategico l'ipotesi del Ponte può essere presa in considerazione senza pregiudizi. Ma non ha un impatto immediato, concentriamoci sulle priorità per ripartire oggi».
 

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