Il punto debole: prevenire
il fanatismo

Venerdì 6 Gennaio 2017, 09:09 - Ultimo agg. 09:12
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Gianandrea Gaiani Il quadro fornito dal governo italiano circa la minaccia terroristica, il ritorno dei foreign fighters dai fronti bellici del Medio Oriente e la radicalizzazione islamica in Italia mostra i limiti già riscontrati in tutte le analisi e i rapporti stilati in Europa su questo tema. Evidenzia i numeri dei miliziani jihadisti partiti dall’Italia e degli estremisti espulsi e sottolinea la necessità di contrastare la radicalizzazione nelle carceri e sul web: combatte il terrorismo ma non sembra occuparsi dell’estremismo che lo genera, molto diffuso anche in Italia pur senza assumere forme palesemente eversive. Di fatto, come in tutta Europa, si cerca di fermare coloro che sono già stati arruolati da Isis o Al Qaeda ma non si fa nulla o quasi per sradicare quella componente islamica costituita da predicatori, ideologhi e imam radicali in grado di radicalizzare migliaia di giovani jihadisti.

Lo studio del ricercatore Michele Groppi sul radicalismo in Italia pubblicato dal Centro militare di studi strategici nel 2015 evidenziava la presenza di 108 moschee o centri culturali controllati dagli estremisti islamici mentre pochi mesi or sono fonti dell’antiterrorismo riferirono di un migliaio di “ambienti” islamici monitorati dai servizi di sicurezza. Se la minaccia si è decuplicata in un paio d’anni per dormire sonni sereni non basta apprendere che 133 estremisti sono stati espulsi dall’Italia e che i “nostri” foreign fighters sono solo un centinaio sui 25 mila stimati provenienti da tutto il mondo di cui oltre 5 mila europei. Qualche perplessità destano anche gli strumenti con cui l’Italia sembra voler contrastare i rischi legati al ritorno dei miliziani che hanno militato con lo Stato Islamico e i qaedisti del Fronte al-Nusra.

La “rieducazione” di uomini che hanno compiuto crimini orrendi in nome del jihad, ventilata dal ministro Marco Minniti, venne evocata già la primavera scorsa dal coordinatore Ue per la lotta al terrorismo, Gilles de Kerchove. Non si tratta di recuperare alla società alcolisti o tossicodipendenti, ma di gestire assassini convinti di combattere per la giusta causa. Uomini che abbiamo lasciato partire per la Siria con leggerezza (o forse volutamente poiché andavano a combattere il regime di Bashar Assad che ancor oggi l’Europa vorrebbe abbattere lasciando Damasco ai jihadisti) e che tornano quasi senza ostacoli in un’Europa che vorrebbe ingenuamente reintegrarli. In Italia appare poi poco credibile affidare la de-radicalizzazione degli oltre 350 detenuti registrati come estremisti islamici a esponenti dell’ideologia del Fratelli Musulmani.


La “fratellanza”, finanziata su scala internazionale dal Qatar e dalla Turchia, è rivale del wahabismo dell’Isis sostenuto dai sauditi ma non è certo aderente ai valori della nostra società basata sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che nessun paese islamico ha mai firmato. L’obiettivo anche per i “fratelli musulmani” è l’imposizione della sharia e non a caso in Siria come in Libia le milizie della fratellanza combattono fianco a fianco con quelle di Al Qaeda. A differenza di wahabiti e salafiti, la democrazia non è aborrita ma considerata il mezzo attraverso il quale conquistare il potere. Per intenderci quello che ha fatto Hamas a Gaza, cercava di fare Mohammed Morsi in Egitto e sta facendo ora Recep Tayyp Erdogan in Turchia. Il problema che rimane di fatto irrisolto e soprattutto resta quindi quello di combattere l’ideologia islamica radicale che anche in Italia costituisce terremo fertile per un estremismo potenzialmente pericoloso.

I dati diffusi nei giorni scorsi sempre da Groppi alla trasmissione “Otto e mezzo”, che sono parte della sua tesi di dottorato per il King’s College di Londra, sono in linea con quelli molto allarmanti registrati negli ultimi mesi presso molte comunità islamiche in Europa.
L’indagine effettuata tra gli islamici residenti in Italia rileva che il 24 per cento sostiene la violenza in nome di Allah, il 30% crede che chi offenda l’Islam e i suoi principi debba essere punito e oltre il 60% si dichiara antisemita. Circa l’integrazione la situazione è (per ora) migliore rispetto ad alcune realtà europee ma il 20% degli interpellati abolirebbe le recite di Natale nelle scuole e il crocifisso, mentre il 44% vorrebbe rimpiazzare la nostra morale con quella islamica. Un brodo culturale perfetto per far crescere tanti Anis Amri.
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