Referendum, la tentazione di Berlusconi:
«Torno, ma non ditelo ai miei figli»

Referendum, la tentazione di Berlusconi: «Torno, ma non ditelo ai miei figli»
di Pietro Perone
Sabato 3 Dicembre 2016, 09:28 - Ultimo agg. 14:07
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Un No determinato dai «17 cambiamenti peggiorativi rispetto al testo concordato»: Silvio Berlusconi guarda già al dopo referendum e chiede una «legge elettorale proporzionale» per tornare quanto prima alle urne in modo da porre fine «a governi non eletti dagli italiani», anomalia in cui - dice - Napolitano ha le sue responsabilità e ora «potrebbe evitare esternazioni comunque ineleganti», visto che «per anni avrebbe dovuto essere il garante delle regole della democrazia, e invece ha fatto di tutto per creare, promuovere e sostenere una serie di governi, da Monti a Renzi, non scelti dagli italiani».

Nei dati economici diffusi dall'Istat negli ultimi giorni si rivede l'inflazione e la disoccupazione giovanile è in calo, inoltre è stato finalmente rinnovato il contratto degli statali. Insomma, il governo Renzi qualcosa in economia è riuscita a farla, tanto da far dire al premier che con un'Italia sbloccata attraverso le riforme si potrà fare molto di più. Sembra di risentire lei quando era a Palazzo Chigi.
«Mi scusi, ma il paragone mi pare un po' forzato. Io ho governato all'epoca delle Torri Gemelle, e poi durante la peggiore crisi economica che ha flagellato l'Occidente dopo il 1929. Nonostante questo ho realizzato 36 grandi riforme di sistema, non ho mai messo le mani nelle tasche degli italiani, anzi ho portato la pressione fiscale complessiva sotto il 40%, mentre oggi è al 44%, ho mantenuto il tasso di disoccupazione sotto la media europea. Oggi è stabilmente più alto di tre punti rispetto a come lo avevamo lasciato noi. La disoccupazione giovanile, rispetto a quando abbiamo lasciato il governo nel 2011, è cresciuta di 10 punti, dal 26.5% al 36.4%. E vogliamo festeggiare una variazione di uno 0,1%? Questa sarebbe la ripresa? Quanto agli statali, sono contento per loro che finalmente abbiano il loro contratto, ma il fatto di firmarlo proprio tre giorni prima del referendum è almeno una coincidenza sospetta, non crede? Anche perché non si è ancora capito chi pagherà i costi delle mance elettorali che Renzi sta distribuendo a tutte le categorie possibili prima del voto. O meglio, si è capito benissimo: le pagheranno tutti gli italiani, sulle cui spalle si sta accumulando nuovo debito.

L'altro giorno ha aperto al dialogo post referendum con Renzi per una nuova legge elettorale e non solo. Il premier invece le ha chiuso la porta in faccia sostenendo che se vincesse il No al limite lei dovrà parlare con Grillo e D'Alema, non con lui. Che cosa risponde?
«Non ho nulla da rispondere. Io ho solo fatto una constatazione: dal 5 dicembre, comunque sia andato il referendum, la maggioranza in Parlamento rimarrà la stessa. Il Pd conserverà la maggioranza assoluta, per quanto ottenuta grazie al voto di 50 transfughi. Quindi, poiché la legge elettorale sarà in ogni caso da cambiare, con loro dovremo parlare necessariamente. Se poi il premier sarà ancora Renzi, o se riterrà di onorare la promessa di farsi da parte in caso di sconfitta, è una scelta sua. Per noi parlare con Renzi piuttosto che con un altro uomo del Pd cambia davvero poco. L'importante è andare a votare in tempi brevi con una legge elettorale condivisa. Una legge che dovrebbe essere proporzionale per evitare che una minoranza anche ristretta possa avere la maggioranza parlamentare come accadrebbe con l'Italicum».

Il patto del Nazareno è dunque sepolto: pentito di averlo sottoscritto?
«Non sono affatto pentito di aver compiuto quel generoso tentativo. Io sono convinto che la Costituzione vada cambiata davvero, anzi le riforme sono una delle ragioni per le quali sono sceso in campo. Già nel 1995 pronunciai un discorso alla Camera, del quale sono ancora orgoglioso, e che un quotidiano ha avuto la cortesia di ripubblicare pochi giorni fa, nel quale parlando a nome di tutto il centrodestra indicavo le riforme necessarie allora come oggi. Quindi nel momento in cui il Pd si mostrava disponibile a fare le riforme insieme, come avremmo potuto tirarci indietro? Naturalmente questo significava accettare dei compromessi, come è inevitabile, per giungere a un testo condiviso. La Costituzione non può spaccare in due un Paese, come sta accadendo ora con il testo sottoposto a referendum. Quindi abbiamo dato un primo assenso a un testo che non ci convinceva, premettendo che in ogni caso avremmo chiesto successive modifiche nel corso dell'iter parlamentare. Non solo le modifiche che proponevamo non sono state accolte, ma il Pd ci ha imposto ben 17 cambiamenti peggiorativi, dal nostro punto di vista, del testo concordato. A quel punto è diventato evidente che Renzi stava soltanto cercando di costruirsi un abito su misura per sé e per il suo partito, e quindi, coerentemente, ci siamo chiamati fuori. Non potevamo fare altro: la Costituzione che ne è uscita garantisce che il centrodestra non potrebbe mai governare, se anche vincesse le elezioni, perché comunque il Pd avrebbe il controllo automatico del Senato. Questo perché i senatori non sono più eletti, ma nominati dalle Regioni, delle quali 17 su 20 sono in mano alla sinistra. Dunque se anche l'elettorato ci desse la maggioranza, sarebbe quasi impossibile svolgere l'attività di governo, perché il Senato potrebbe bloccare tutto. Questa non è democrazia».

Non prova alcun imbarazzo a ritrovarsi sullo stesso fronte di chi per anni l'ha combattuto applaudendo alle molteplici inchieste della magistratura e che adesso spera nello stop della Corte di Strasburgo rispetto alla sua riabilitazione ed eventuale ricandidatura?
«Scusi, non capisco questa obiezione. Dovrei appoggiare una riforma sbagliata soltanto perché non piace neppure ai grillini o a Magistratura democratica, peraltro per ragioni del tutto diverse e anzi opposte rispetto alle mie? Ovviamente quello contro il No non è uno schieramento politico, e trovo piuttosto scorretto il tentativo del Pd di dipingerlo come se lo fosse. Quando il Partito Liberale di Malagodi e il Partito Comunista di Berlinguer votarono entrambi No al referendum sul divorzio, questo significava che avessero fatto un accordo politico?»

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