Renzi è considerato la Xilella della sinistra italiana. Giuliano Pisapia è un bravo avvocato, un garbato uomo di sinistra, radicale nelle idee ma non nei modi. Viene esaminato dalla sinistra della sinistra come facevano i sacerdoti con Gesù finendo regolarmente per coglierlo in fallo. Se abbraccia Maria Elena Boschi a un convegno compie un atto impuro. Se incontra Gentiloni viene guardato con sospetto. Se riflette su una possibile alleanza col Pd viene crocifisso. Lasciamo al lettore di stabilire quale delle due parti abbia ragione. È un fatto che chi sta con D’Alema non può stare con Renzi.
Pisapia ha smentito l’altro giorno di aver detto «O io o lui», riferito a D’Alema. Frasi così ultimative e sferzanti non assomigliano al suo carattere. Ma la sostanza è quella. Ieri in direzione Renzi ha fatto finta di niente dicendo: i nostri avversari non sono quelli andati via da qui. Ma siamo sicuri che D’Alema la pensi allo stesso modo? Siamo sicuri che una eventuale sconfitta del Pd alle elezioni siciliane venga considerata una sciagura dall’MDP che non a caso ha candidato Claudio Fava per togliere al candidato democratico una significativa fetta di voti? Renzi ha aggiunto che il 14 ottobre festeggerà i dieci anni del Pd insieme con Walter Veltroni, che ne fu il fondatore, e Paolo Gentiloni.
Veltroni immaginò un partito a vocazione maggioritaria, come accade in tutte le democrazie di antiche tradizioni.
Inquinò quel saggio proposito alleandosi inutilmente con Di Pietro nel 2008, ma quella vocazione è ormai scaduta visto l’arrivo in forze del Movimento 5 Stelle. Nessuno può vincere da solo. Perciò Renzi guarda a Pisapia, che certo non ha un grande esercito alle spalle, ma darebbe al Pd il riconoscimento di capo di una coalizione. È esattamente quello che D’Alema e Bersani non vogliono. Posizione legittima, s’intenda. E se una vittoria di Berlusconi alle lezioni politiche serve a seppellire Renzi, evviva il Cavaliere. La maledizione della sinistra continua implacabile nei secoli.