La Costituzione
oltre i partiti

di Biagio de Giovanni
Venerdì 2 Dicembre 2016, 23:26 - Ultimo agg. 3 Dicembre, 08:34
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Finalmente la parola passa ai cittadini e al voto democratico in un esercizio, sia pur limitato, di potere costituente. Dopo una campagna elettorale tesa, difficile, eccessiva come tutto ciò che avviene sotto i nostri occhi, dove tutto, proprio tutto, sembra essersi rimescolato, in una grande scena di difficile decifrazione, dove dimensione tecnica, istituzionale politica (e teatrale) si sono intrecciate e anche confuse, finalmente giunge la decisione.

Nulla sarà più come prima, inutile provare a derubricare il voto, con l’osservazione, valida in se stessa, ma talmente ovvia da essere poco significativa, che abbiamo in ogni caso assistito a un esercizio di democrazia. Bene, certo è così, e questo è sempre rassicurante, ma, giunti alla vigilia del voto, ciò che più interessa è poter intuire le conseguenze allegate, per dirla con linguaggio moderno, ai due possibili risultati. 

Si badi: la riforma, diversamente da quel che talvolta si è detto da chi tendeva a farla passare sotto traccia, non è una piccola riforma, una pur essenziale semplificazione dell’azione legislativa. L’intenzione di fondo mi sembra un’altra, in parte rimasta in ombra in una campagna elettorale nella quale o ci si è industriati a sminuzzare una espressione, una parola giudicata inadeguata, una scrittura non propriamente esemplare, o si sono colti, sullo sfondo, tranelli per una futura «deriva autoritaria». Sono corsi, spesso, giudizi iperpolitici e sommari, di condanna o di esaltazione. Chi sa che non valga ancora un tentativo di ragionare. Perché non si può semplicemente conservare intatta la Costituzione che oggi regge l’Italia? Come peraltro i vari tentativi fatti in passato, sia pur falliti, avevano già messo in evidenza? C’è, mi pare, una ragione che non è stata sufficientemente posta in evidenza e che forse dà vero significato al passo in avanti cui condurrebbe un approvazione del progetto.

Al centro di quella Costituzione erano i partiti politici, le culture politiche organizzate che le avevano dato vita, erano loro a garantire le connessioni anche della rappresentanza, soprattutto parlamentare, con l’intero Paese. Solo chi ha gli occhi bendati può immaginare che la situazione sia rimasta identica. Erano i grandi partiti, e le culture con le quali si intrecciavano, che garantivano, attraverso conflitto e mediazione, la continuità del rapporto tra società e politica, società e istituzioni, e perfino tra «territori» e istituzioni. Oggi solo una vecchia retorica politica lascia pensare a una qualche continuità con lo stato di cose ricordato, e non ho motivo per dilungarmi sulle ragioni di questo mutamento che sono clamorosamente sotto i nostri occhi, e non solo, se ci si guarda intorno, sotto gli occhi «italiani». Al Senato delle autonomie locali, previsto dalla riforma costituzionale – di là dai possibili limiti di una proposta da verificare nella sua attuazione- spetta proprio la ricostruzione di un legame non tra regioni amministrative e Stato, ma tra territori e Stato, capace, per far l’esempio più caldo, di ridar voce alla dimenticata questione meridionale o di rimettere in moto mediazioni che si vanno perdendo. 

Con una aggiunta alla quale credo si debba dar oggi gran valore, la contemporanea rivendicazione della supremazia dell’interesse nazionale per i grandi problemi strategici, una supremazia più che mai necessaria nella fase drammatica di crisi che attraversa l’Unione europea, non per rinunciare al progetto e illusoriamente rinchiudersi nei propri confini, ma per contribuire alla costruzione di un nuovo equilibrio senza del quale il coma reversibile in cui versa l’Europa rischia di diventare agonia e poi morte: e per evitare questo finale abbiamo bisogno dello Stato, di una sua rinnovata capacità aperta al futuro. Si può ancora sperare che il progetto possa esser guardato alla luce di questo necessario tentativo, e non soffocato da mille arzigogoli di tanti illustri azzeccagarbugli? O anche di tanti onesti e bravissimi giuristi forse troppo attaccati alle sottigliezze del loro nobile mestiere? E lo dico, naturalmente, senza nessuna ironia. 

Mi si può dire: stai ancora a parlar del merito? Beh, non da oggi la cosa è stata difficile; la politica, l’iperpolitica è da tempo che si è impadronita della scena. Errori vari, e ben noti, colti al balzo da chi comprendeva che proprio quella personalizzazione effettivamente estrema era il tassello necessario per unificare forze le più diverse e lontane fra loro, ognuna delle quali, per ragioni proprie, convergente con le altre su un unico scopo, in funzione schiettamente antigovernativa. Ma, in ogni caso, la politica, di cui spesso si nega la persistenza, entra oggi più che mai disordinatamente in ogni questione, figuriamoci in questa. Dunque, infine, nessuno scandalo nel caso indicato, non è qui il punto. Forse però quelle medesime forze unite nella lotta non hanno tenuto conto di un fatto che possiede un notevole significato: nella partita tra Renzi e il resto del mondo (il calcio mi attrae sempre, anche nei momenti più tesi) tutto quel che sarà, nel voto, dal lato della riforma, se lo potrà legittimamente attribuire il presidente del consiglio, e quindi il dopo-Renzi non sarebbe, molto probabilmente, senza Renzi. Dall’altro lato, tutti insieme nel voto, ma ognuno contro tutti nella prospettiva, e questo sarà chiaro da domenica sera se vince il «no».

Qui non si fa scandalo della cosa, la si annota per un’altra ragione: nell’ipotesi ora indicata, di nuovo l’instabilità sarà il tratto dominante della situazione italiana. Con prospettive che possono avere, per alcuni, un carattere inquietante, stante la confusa collocazione di partiti e movimenti nel corpo della società; stante la profonda frattura che attraversa il Pd, si voglia o non si voglia oggi nucleo centrale del sistema politico italiano, la divisione e quasi scissione nel centro-destra, stante infine l’indeterminatezza progettuale del Movimento Cinque Stelle. 

Sento già risuonare la voce che dice: è la democrazia, bellezza, ed è del tutto vero. E lungi da me la tentazione di descrivere situazioni senza controllo possibile. Gira ben altro nel mondo, ma proprio per questo avvertiamo proprio la necessità di aggiungere un altro elemento al caos generale? Avvertiamo proprio, come cittadini italiani, la necessità urgente di interrompere un’azione di governo che ha provato a rimuovere qualcosa nel pantano in cui si era bloccata l’Italia?
 
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