Le prove false e le ombre che offendono la democrazia

di Massimo Adinolfi
Martedì 11 Aprile 2017, 08:40 - Ultimo agg. 08:54
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Una manipolazione deliberata: con questa ipotesi accusatoria i magistrati romani hanno sentito ieri il capitano Gianpaolo Scafarto, del Noe, il nucleo investigativo dei carabinieri che aveva condotto le indagini sul caso Consip, fino alla revoca da parte della Procura di Roma. Se l’accusa dovesse essere confermata si disegnerebbe uno scenario a dir poco allarmante, in cui un’inchiesta viene orientata da tentativi di depistaggio condotti al fine di colpire Tiziano Renzi, e, indirettamente, il presidente del Consiglio dell’epoca.

Attribuendo falsamente all’imprenditore Alfredo Romeo una frase pronunciata in realtà dal suo consulente, l’ex politico Italo Bocchino, si voleva evidentemente costruire un rapporto che giustificasse il sospetto di traffico di influenze, il reato per il quale Tiziano Renzi è stato raggiunto da un avviso di garanzia. E su cui tutta la stampa si è gettata, come una muta di cani all’inseguimento della ambita preda.

Ma più preoccupante ancora – per i poteri pubblici e per l’ordinamento democratico – è che questa storiaccia non sarebbe saltata fuori se il capo della Procura di Roma non avesse preso l’iniziativa di togliere l’indagine al Noe, a seguito di una fuga di notizie che evidentemente a Roma avevano qualche ragione di ritenere ispirata dagli ambienti napoletani. Qualche ragione, e una grandissima lungimiranza.

Quando si diffuse la clamorosa notizia della revoca, scrivemmo già che qualcosa tra Napoli e Roma non doveva essere andata per il verso giusto: ci sono motivi – ci chiedevamo – per cui a Roma non vogliono più saperne del Noe?

C’è da vedere, nei motivi del loro impiego, un particolare affiatamento con i magistrati del pubblico ministero, oppure «siamo dinanzi a uno scenario assai inquietante, in cui ciascuno si fida solo dei suoi, e Roma non si fida più di quelli di Napoli?».

Parlavamo infine di una girandola di dubbi e di illazioni: ora quella girandola ha ripreso vorticosamente a girare. Ed è difficile sopravvalutare la gravità dello scenario che emerge in queste ore: non per iniziativa di parti politiche interessate, ma per le verifiche condotte dai pm romani. È inutile dire che ad essere lesa da simili operazioni e a riceverne un danno, qualora dovessero essere confermate, è in primo luogo la magistratura, la sua funzione di autonomia e indipendenza: storicamente pensata come un argine costituzionale alle prevaricazioni del potere esecutivo, rischia di divenire un riparo all’ombra del quale diverrebbe possibile condurre operazioni più che torbide nei confronti di altri poteri dello Stato.

Non bisogna rendere giudizi affrettati e non bisogna correre subito alle conclusioni, ma è bene tuttavia avere chiara quale partita è in gioco. Colpisce infatti quello che in questi mesi è accaduto, e quello che evidentemente continua ad accadere. Anche perché, lo si ricorderà, questa non è la prima volta che il nome di Matteo Renzi finisce sui giornali per vicende giudiziarie poco chiare, alimentate da intercettazioni che immancabilmente finiscono sui giornali, con i quali si cucinano titoli e si fabbricano opinioni poi difficili da cancellare, e che in seguito si scoprono manifestamente infondate. La prima volta è stata con l’inchiesta Cpl-Concordia, per appalti vinti dalla cooperativa emiliana a Ischia. E anche in quel caso: nastri, intercettazioni, trascrizioni, e un castello di accuse finite in nulla dopo il trasferimento dell’inchiesta per competenze in Emilia.

Ora, a quanto pare, ci risiamo. Lo abbiamo scritto un mese fa, e lo scriviamo di nuovo adesso: gettiamo acqua sul fuoco, aspettiamo di vederci più chiaro e diamo credito alle iniziative delle Procure. Ma fermiamoci anche a riflettere su quanto pesanti sono queste distorsioni della vita pubblica del Paese, sul modo in cui inquinano – perché di inquinamento si tratta – la normale dialettica politica e la stessa tenuta democratica del Paese. Nessuno parlerà dunque di complotti o di trappole. Se risulterà che la manipolazione c’è effettivamente stata e sarà possibile parlare magari di errore materiale, di svista, persino di dabbenaggine, per carità di Patria: facciamo ogni sforzo per prendere per buona una simile versione e tiriamocene fuori. Però non lasciamo cadere gli interrogativi che questa vicenda pone, e teniamoli presenti, almeno, alla prossima riapertura del circo mediatico-giudiziario. Alla prossima iniziativa di qualche pm in cerca di notorietà, alle prossime pietanze che ci verranno servite sul piatto sempre ricco del giustizialismo nostrano. Facciamolo, perché ne va della libertà e dei diritti di tutti.
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