Rimonta referendum,
Renzi con il fiato sospeso

Rimonta referendum, Renzi con il fiato sospeso
di Marco Conti
Domenica 4 Dicembre 2016, 08:02
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ROMA Al «salto nel buio», come lui stesso ha definito l'eventuale vittoria del No, Matteo Renzi è forse più preparato di molti dei suoi avversari. E non solo perché, come ha ricordato il ministro Graziano Delrio, le dimissioni sono scontate «per coerenza e non per ricatto», ma perché Renzi è convinto che la stagione delle riforme - quella del jobs act, del dopo di noi, del pubblico impiego, dei matrimoni civili - andrebbe definitivamente in soffitta.

Quello che più volte ha definito come «errore», ovvero l'eccessiva personalizzazione fatta in campagna elettorale, in caso di sconfitta diventerebbe realtà e non solo perché anche Berlusconi ha chiesto ieri l'altro le dimissioni del premier, ma perché anche il primo ministro inglese Cameron si è dimesso dopo aver perso il referendum sulla Brexit.

Auspicare una campagna elettorale diversa è facile, ma difficilmente Renzi l'avrebbe potuta condurre diversamente «perché - come sostiene - questo governo è nato, e questa legislatura è potuta andare avanti, per l'impegno preso da tutti di fare le riforme costituzionali». Saltato l'impegno di molte delle forze politiche, il governo è andato avanti lo stesso e, dopo sei letture, ha condotto in porto la riforma che oggi va al referendum. «Se i cittadini la bocceranno dovrò prenderne atto», ha ripetuto nei giorni scorsi provocando la reazione di coloro che sono schierati per il No, ma vorrebbe tenerlo a palazzo Chigi. Quindi dimissioni e poi il pallino passerebbe al presidente della Repubblica che ascolterà i segretari e leader di tutti i partiti per vedere se la legislatura può andare avanti almeno per metter mano alla legge elettorale in modo da superare sia l'Italicum che il consultellum, la legge derivata dal porcellum dopo l'intervento della Consulta.

Tre mesi ventre a terra tra telecamere e piazze a spiegare che «il bicameralismo perfetto lo abbiamo solo noi», che «il Cnel verrà abolito insieme alle province» e che finalmente i consiglieri regionali non guadagneranno come un amministratore delegato di una multinazionale ma come il sindaco del capoluogo. Un «salto nel buio» che Renzi spera che l'Italia non faccia e l'attesa che c'è oltre confine per il referendum italiano dimostra quante incognite rischia di scatenare quello che il Wsj definisce «un salto all'indietro». All'estero e sui mercati finanziari non si entra molto nel merito delle riforma, ma si valuterà solo la voglia dell'Italia di voltare pagina di un sistema istituzionale che viene giudicato «bloccato» e che tiene fermo l'intero Paese.

La rimonta delle ultime settimane, la valutazione che i tanti indecisi faranno all'ultimo momento leggendo il testo della riforma e il quesito posto sulla scheda, giustifica l'ottimismo che si respira nel comitato BastaunSì dove viene definito «un segnale della paura» la violazione del silenzio elettorale che Berlusconi fa ad ogni consultazione e che ha fatto anche ieri.

Il successo che «rafforza il Paese e non il governo», non sarebbe per Renzi l'occasione per ritenere asfaltati i suoi avversari interni al Pd ed esterni. «I voti che si prendono ad un referendum non sono trasferibili sul piano politico. Basta vedere ciò che è accaduto con i referendum di Pannella», ha sostenuto pochi giorni fa il premier al Messaggero. L'eventuale vittoria di questa sera per il presidente del Consiglio non spiana la strada per una vittoria alle politiche del 2018, ma permetta all'Italia di essere «più forte in Europa» sia sul tema dei migranti, che del dibattito in corso su un cambio di passo delle politica economica dell'Unione. «Altrimenti, torneremo a guardare ogni giorno lo spread».