Mattarella e la forza della mitezza

di Massimo Adinolfi
Lunedì 28 Novembre 2016, 08:50 - Ultimo agg. 08:52
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L'arroganza, la protervia, la prepotenza. E poi, al polo opposto, c'è la mitezza. Quando Norberto Bobbio scrisse il suo fortunato elogio della mitezza, aveva in mente una virtù che doveva anzitutto esercitarsi nelle relazioni personali, come disposizione a non sopraffare l'altro, a non esibire la propria forza. Una virtù che si costruisce trattenendosi, ritirandosi dal potere che si potrebbe usare e che si decide invece di non usare. Una virtù che si attaglia benissimo al ruolo che svolge, nell'ordinamento italiano, il presidente della Repubblica.

In realtà, i giuristi hanno ormai adottato l'immagine coniata da Giuliano Amato, di un potere «a fisarmonica», che si espande o contrae a seconda delle condizioni complessive in cui si trova il sistema politico. E certo, maggiore è la fibrillazione in cui il sistema versa, più è richiesto al Presidente di svolgere una funzione di equilibrio e di garanzia. Manca ormai meno di una settimana al referendum costituzionale, e forse è il momento giusto per un elogio della mitezza che il presidente Mattarella ha fin qui dimostrato. Non è solo una questione di galateo, o di stile personale ispirato alla sobrietà. Non è nemmeno un nobile esercizio di pazienza o di cristiana rassegnazione. I toni del confronto politico si sono di molto alzati, e non solo perché è aumentato il rumore della propaganda, o perché non sono mancate le grida scomposte e le espressioni ingiuriose, ma perché più volte sono venuti al pettine i nodi politici e istituzionali che, all'indomani del voto, bisognerà che siano sciolti. 

E il primo a cui tocca disbrigare quei nodi è proprio il presidente della Repubblica. Ci sarà o no una crisi di governo, nel caso in cui il no dovesse prevalere? E che genere di crisi sarà? Quali saranno i suoi passaggi parlamentari? E quale governo si farà, dopo? Ma anche in caso di vittoria del sì, non è detto affatto che prosegua tranquilla la navigazione di questa legislatura, e le elezioni potrebbero essere già dietro le porte. E il nodo della legge elettorale, sul quale si attende ancora la pronuncia della Corte costituzionale?

Il combinato disposto di Italicum e riforma costituzionale è stato presentato da alcuni come un pericolo, che avrebbe dovuto mettere in allarme le supreme magistrature del Paese. Ma anche il combinato disposto di una mancata riforma e di una bocciatura dell'Italicum porta con sé una quantità di dubbi e di incertezze non piccola, e il rischio di un'impasse istituzionale. E gli stessi partiti, che rimangono i primi interpreti della volontà popolare: anche per loro, il 4 dicembre potrà provocare un energico rimescolamento di carte. Non c'è solo il Pd, la maggiore forza politica presente in Parlamento, che andrà a congresso il prossimo anno.

Anche il centrodestra non è chiaro quale fisionomia assumerà, e neppure chi lo guiderà (e verso dove). Persino nei Cinquestelle, che appaiono molto più compatti dietro il megafono di Grillo, non è detto affatto che il processo di selezione della leadership non procuri qualche scossone. Deciderà la Rete, dicono con finta ingenuità, come se, siccome decide la Rete, non si trattasse di una vera decisione politica, con tutti i sussulti che ciò comporta. E quindi: dal prosieguo della legislatura alla tenuta del governo, dalla legge elettorale ai rapporti politici, le incognite non mancano, così come non mancano i punti di applicazione dei poteri del presidente della Repubblica.

Ebbene, immaginate che cosa comporterebbe un altro stile presidenziale, fatto di dichiarazioni pubbliche, interviste, magari messaggi alle Camere, e insomma l'esercizio di una moral suasion condotto in pubblico. Immaginate se salissero i giri anche del «motore di riserva» della Repubblica, se la presenza del Presidente fosse avvertita in questi giorni come più marcata, più decisa, più determinata: un putiferio. Eppure, si potrebbe persino dire che il Presidente ne avrebbe ben donde. Da un alto è indubbio che, da Sandro Pertini in poi, il volume delle esternazioni è progressivamente cresciuto, in corrispondenza con i mutamenti del sistema politico, la diminuita partecipazione, la crisi di credibilità, la frammentazione dei partiti e degli schieramenti, la fine del bipolarismo. In questo confuso scenario, il Quirinale ha assunto negli anni una posizione sempre più centrale, ma anche propulsiva, fin quasi ai limiti dell'iniziativa politica diretta.

Dall'altro, il Presidente rimane pur sempre il garante degli equilibri costituzionali, il difensore dei diritti fondamentali e del bilanciamento dei poteri previsto dalla Costituzione: una riforma vasta e incisiva fa necessariamente arrivare fin sul più alto Colle della Repubblica le più diverse sollecitazioni. Dinanzi a tutte queste spinte, attuali o potenziali, reali o virtuali, c'era materia per dare una curvatura per dir così «governante» alla propria funzione, certo con il rischio di incrinare la stabilità del quadro politico e istituzionale. Mattarella si è ben guardato dall'assumere un simile profilo, mettendo a disposizione la propria forza moderatrice, la propria interpretazione mite del ruolo presidenziale. Ha scelto di pesare il meno possibile sul 4 dicembre. Il Paese ne guadagna una certezza: nessuno mette in discussione che siano in buonissime mani le decisioni che dovranno essere prese a partire dal giorno cinque. Bobbio diceva che compagna della mitezza è la semplicità, «il rifuggire intellettualmente dalle astruserie inutili, praticamente dalle posizioni ambigue». Comunque andrà il voto, la mitezza di Mattarella garantisce al Paese che non saranno percorse strade astruse o ambigue, soluzioni improvvisate o dissennate. E scusate se è poco.
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