Più di due ore di conclave a Palazzo Chigi tra il governo e i sindacati non bastano ancora per il disgelo. Ma aprono una prima incrinatura nell’unità delle sigle. Al ritorno dal viaggio a Londra la premier Giorgia Meloni affronta infine le principali organizzazioni sindacali alla vigilia di un primo maggio che promette scintille. E riesce almeno parzialmente nell’intento di dividere le parti sociali al tavolo. Impassibile il giudizio sulle riforme economiche della Cgil di Maurizio Landini e la Uil di Pierpaolo Bombardieri. Aperturista invece la Cisl di Luigi Sbarra che parla di «un incontro utile, con il governo si può aprire un nuovo percorso di dialogo». «Il giudizio è sospeso in attesa di vedere i testi», spiega uscendo il segretario del sindacato bianco che durante l’incontro ha espresso soddisfazione per il taglio del cuneo fiscale inserito nel decreto lavoro. È questo uno dei provvedimenti bandiera che atterrerà nel Cdm convocato questa mattina insieme alla riforma che eliminerà il reddito di cittadinanza.
Pnrr, ok alla terza rata. E a Palazzo Chigi arriva la squadra dei tecnici
Il vertice
Resta comunque forte lo scetticismo delle parti sociali che entrano a Palazzo Chigi avendo espresso quasi tutte dubbi e contrarietà sul piano del governo oltre che sul metodo, «ci avete convocato a cose fatte». «Una follia» il taglio del Reddito per Landini che arriva al vertice con propositi bellicosi e definisce il Cdm convocato oggi, nella festa dei lavoratori, come «un atto di arroganza e offensivo». «Parole incomprensibili», risponde Meloni nel pomeriggio, «se pensa davvero che sia diseducativo lavorare il primo maggio, allora il concertone la triplice dovrebbe organizzarlo in un altro giorno». E a rattizzare i carboni prima della riunione a Chigi si aggiunge la Lega con una nota al vetriolo: «Tutto quello che piace alla Cgil non piace agli italiani. Landini e Schlein, dalle fabbriche a Vogue...». Il clima è questo e fa pendant con i nuvoloni neri che si addensano sul cielo della Capitale. I toni si fanno più concilianti durante il faccia a faccia anche se le distanze restano. Seduti insieme a Meloni i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, la ministra del Lavoro Marina Calderone e il vice leghista Claudio Durigon. Landini entra scortato dai leader delle altre sigle. Bombardieri varca il portone insieme a «Manuela, precaria da sette anni», iscritta e lavoratrice nei Trasporti che a Meloni racconterà di «una vita umiliante e senza certezze». «Per noi la lotta al precariato è una priorità», le garantisce la premier.
Al tavolo anche i leader di Cisl e Ugl Luigi Sbarra e Paolo Capone.
Le rassicurazioni
Nell’arringa la premier sciorina le altre misure al vaglio del governo. Fra queste incentivi «fino al 60 per cento della retribuzione» ai datori di lavoro che assumono i Neet, i giovani senza un lavoro né un percorso di formazione. Sgravi, assicura a Landini, indirizzati quasi tutti alle «assunzioni a tempo indeterminato». In mano la premier ha i dati Istat che fotografano mezzo punto di crescita del Pil nel primo trimestre. Segnali di fiducia, ne è convinta Meloni reduce da un incontro nella City di Londra con banchieri e manager da cui è tornata rinfrancata perché, spiega ai sindacati, «gli hedge fund hanno smesso di scommettere contro l’Italia».
Di qui l’invito alle parti sociali di lavorare insieme anche sul fronte del Pnrr e del capitolo energetico Repower Eu. Insomma di «mettersi alla stanga» per riecheggiare il monito di Sergio Mattarella che sabato ha lanciato un appello contro il precariato e per politiche del lavoro eque tra Nord e Sud Italia. Meloni esce dal vertice convinta di aver aperto una crepa nel muro sindacale. Ma anche consapevole che l’ombra di uno sciopero generale non è del tutto scacciata. Fuori dal palazzo, la attende al varco Elly Schlein, «questo è un decreto per la precarietà» tuona la leader del Pd dimostrando ancora una volta una sincronia con la parte oltranzista dei sindacati che a Palazzo Chigi nessuno prende sotto gamba.