Migranti, il ministro della Difesa Pinotti: «Droni e navi, così fermeremo i barconi»

Roberta Pinotti
Roberta Pinotti
Lunedì 6 Luglio 2015, 07:36 - Ultimo agg. 7 Luglio, 15:41
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Per il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, «non è vero che l’Isis stia vincendo. Abbiamo bisogno di una contro-narrazione». Quanto alla missione europea nel Mediterraneo, «è partita la prima fase ma per quelle ulteriori occorrono una nuova decisione europea, la risoluzione delle Nazioni Unite e un’auspicabile richiesta delle autorità libiche».



Venerdì il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto di partecipazione italiana a EuNavFor Med, cioè il dispiegamento delle navi e la raccolta di informazioni sulle imbarcazioni e le rotte degli scafisti. «Le fasi ulteriori prevedono azioni di contrasto, con la possibilità di fermare i barconi in mare o individuare i luoghi di raccolta dei migranti. Queste bande criminali hanno disprezzo totale per la vita umana: trattano i migranti da schiavi, li costringono a pagare più volte, ne stuprano le donne, li chiudono a chiave nelle stive come nel film “Amistad”. Noi non possiamo accettare che sfruttino il dolore delle persone, guadagnando proventi altissimi impiegati poi chissà come».



I 5 Stelle parlano di atto di guerra e Parlamento tenuto all’oscuro…

«Non capisco a cosa si riferiscano. La missione è stata lanciata il 18 maggio dai ministri della Difesa e degli Esteri europei e approvata il 22 giugno dai titolari degli Esteri. Contrastare gli scafisti dovrebbe essere interesse comune di tutte le forze, anche dell’opposizione. E non è un atto di guerra, semmai di polizia. Il Parlamento è stato informato passo dopo passo, e comunque era materia nota da tempo. Impiegheremo droni, elicotteri, la portaerei Cavour, ma senza gli Harrier. Ci sono una nave britannica, due tedesche, altri assetti di altre nazioni. Uomini e mezzi».



Arriverà la richiesta da parte della Libia per le altre fasi?

«Occorre che vi sia un governo riconosciuto da tutti i libici. Le fazioni di Tobruk, Zintan e Misurata hanno firmato l’accordo con l’inviato dell’Onu, Bernardino Leon. Mi auguro che si aggiunga presto la firma del Parlamento di Tripoli. Tutte le parti hanno dichiarato che gli scafisti vanno contrastati».



Come si svolge l’attività di intelligence?

«È un’attività per sua natura riservata. Certo, siamo in collegamento con i partner delle sponde Sud e Nord del Mediterraneo e dei principali alleati. Non sottovalutiamo nulla. E abbiamo deciso da tempo l’operazione “Mare Sicuro”, che fra l’altro ha riportato in Italia i pescherecci di Mazara del Vallo finiti in acque internazionali che i libici rivendicano come proprie. Tra gli obiettivi, la protezione dei nostri natanti e delle piattaforme petrolifere. Insomma, dei nostri interessi vitali. Sono 6.600 i militari impegnati nell’operazione Strade Sicure, 1.800 solo all’Expo, e 700 quelli di Mare Sicuro. In tutto, 7.300 militari per la sicurezza interna ed esterna».



Il terrorismo ha colpito duramente in Francia. Noi siamo più fortunati, più bravi oppure non siamo un bersaglio?

«Noi non abbiamo immigrati di terza generazione come quelli che hanno colpito in Francia. Questo non vuol dire che siamo immuni. L’attentato terroristico è per sua natura subdolo e difficile da prevedere. Possiamo immaginare gli obiettivi a rischio. L’attenzione è massima».



L’Isis ha conquistato Ramadi in Iraq e Palmira in Siria. Attacca Kobane, si estende…

«Bisogna distinguere tra propaganda dell’Isis e effettivi successi militari. La propaganda e l’enfasi con cui alcuni nostri media la rilanciano fanno passare attentati terroristici ben congegnati, come a Ramadi, per riconquista totale. La loro tecnica è micidiale, hanno messo in campo capacità nuove e diverse: terroristi sul suolo occidentale o nei Paesi musulmani non allineati col fondamentalismo. A volte si muovono come in una guerra convenzionale, altre con un mix di battaglie tradizionali e terrore, o con attentati in luoghi pubblici e, ancora, con omicidi mirati».



Come contrastare la loro strategia di comunicazione?

«Non bisogna dare fiato al loro trionfalismo, alla loro propaganda che si basa da un lato sulla crudeltà ed efferatezza, dall’altro sull’idea di un Califfato vincente anche se non vince. Lavoriamo alla stabilizzazione dei territori, al blocco dei flussi finanziari, alla comunicazione e a un racconto diverso. L’Italia da subito ha dimostrato di esserci, inviando un nutrito e particolarmente qualificato gruppo di militari in Kuwait, ma anche a Baghdad e a Erbil, in Iraq, che addestrano soldati curdi e iracheni. Il Generale Allen, capo della coalizione, è venuto apposta a chiederci un contingente di carabinieri, un’eccellenza mondiale, per addestrare e formare corpi di polizia. Ne abbiamo inviati alcuni in Iraq, per capire meglio la richiesta e il tipo di lavoro da svolgere».



Come si può migliorare la comunicazione alleata?

«È uno dei punti che Allen vuol mettere a fuoco. Ma per fare una contro-narrazione è fondamentale coinvolgere i Paesi islamici, solo loro possono dirci quali parole usare per far capire che la religione islamica vede in questi crimini orribili qualcosa di inaccettabile. In un incontro dei Paesi che si affacciano nel Mediterraneo ho proposto che siano i Paesi della sponda Sud a ribaltare la narrazione dell’Isis. Noi occidentali abbiamo una sensibilità diversa, potremmo sbagliare le parole. Non va sottovalutata la scenografia del terrore, dalle decapitazioni al pilota giordano bruciato vivo, dalla bandiera nera su San Pietro all’arruolamento di un giornalista occidentale per raccontare le meraviglie dello Stato islamico. Su Twitter e sui social media i terroristi sviluppano una comunicazione potente alla quale l’Occidente ancora non sa rispondere con una vera contro-comunicazione».
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