Pdl, l’ala dura reclama la conta. Altolà dei ministri: ora niente guerra

Lunedì 7 Ottobre 2013, 08:37
3 Minuti di Lettura
Siamo leali con Berlusconi, siamo lealisti, ma la linea di Alfano, che punta a costruire un centro subalterno alla sinistra, sbagliata. Non vogliamo mettere in crisi il governo, ma le sotto-intese o le larghe intese. Chiediamo azzeramento di incarichi di partito e congresso straordinario».



Raffaele Fitto (classe 1969, di Maglie, Puglia, ex governatore, ex ministro) è stato zitto per giorni. Anzi: settimane. Guardandolo passeggiare pensoso e corrucciato nei corridoi di Montecitorio in molti si chiedevano il perché. Ieri, sul Corriere della Sera - scelto sulla base di una strategia ben studiata: parlare alla «borghesia produttiva» del Nord partendo dal Sud - ha lanciato la bomba che ha messo a rumore, di prima mattina, l’intero Pdl.



Non a caso, partono una serie di dichiarazioni a raffica, tutte dei lealisti, neonata corrente interna al Pdl che scendono tutti e subito in campo pro-Fitto. Parlano, infatti, esponenti di spicco del Pdl come la Carfagna e Nitto Palma (Campania), Bernini (Emilia-Romagna), Gelmini e Romani (Lombardia), Prestigiacomo (Sicilia), Polverini (Lazio), Romano (Sicilia), ex Dc-Cdu-Udc proprio come Fitto e per questo mai molto amato dal Cav.



Prova a mediare il governatore Caldoro, sottolineando il documento della Campania pro-unità interna. Restano in silenzio, se non per tuonare contro il Pd che vuole condannare Silvio alla gogna e soprattutto contro Enrico Letta che vuole «spaccare il partito» super-falchi come Santanché, Capezzone e Bondi, ma anche in questo caso la strategia è studiatissima. Essendo tutti costoro ritenuti ormai persino da molti dei lealisti fittiani eccessivamente «divisivi», è stato chiesto loro, pur se gentilmente, di trincerarsi in un rigoroso riserbo.



STRATEGIE E MINACCE

«Un congresso in questo momento», avverte per tutta risposta Fabrizio Cicchitto, «rinchiuderebbe il Pdl in una sorta di sfida all'Ok Corral interna, del tutto autoreferenziale che assorbirebbe tutte le energie del partito in una sorta di permanente duello interno». Mentre, è il ragionamento dei ministri, la sfida di Alfano post-fiducia è aprire il Pdl verso l’esterno, tutto il contrario cioè. Come se non bastasse (e qui non era arrivata neppure l’ora di pranzo) ecco il premier Enrico Letta che va in tv e, dagli schermi di SkyTg24, dice – papale papale – che il berlusconismo è finito. Ce ne sarebbe, in teoria, abbastanza per provocare l’ira funesta del Cav. Succede, invece, l’esatto contrario.



Appena Alfano legge le parole di Letta e dopo aver letto l’intervista di Fitto, capisce subito che è in atto l’ultimo tentativo per staccarlo in via definitiva da Berlusconi. A quel punto alza il telefono e stila un comunicato che lancia fulmini e saette su Letta, ignorando Fitto. Parole che verranno subito sostenute e corroborate dai lealisti alfaniani (a cominciare dal capogruppo Renato Schifani, ma anche neo-colombe come Barbara Saltamartini).



«Non accettiamo ingerenze né interferenze nella vita del nostro partito né da parte di Letta né di Epifani. Abbiamo un leader: è e resta Berlusconi». Alfano, infatti, sa per certo che il Cav non vuole sentir parlare di congressi né di regole e statuti.



Pure un’altra cosa è certa, nell’inner-circle del Cav: «Il rapporto con Angelino è saldo e Fitto l’ha fatto solo indispettire più di quanto già non lo fosse con i falchi che lo hanno ingannato e le cui teste, molto presto, cadranno». A partire da quelle di alcuni coordinatori del Pdl, partito che difficilmente fin quando c’è il Cav, farà congressi o cose simili. Anche perché, sottolinea Simona Vicari, «nascondono l'insidia» di una «guerra fratricida» che rischia di essere «devastante». E indebolire lo stesso Cavaliere.



Si potrà certo parlare di congresso (con primarie o una convenzione) quando sarà il momento di andare al voto. Ma in questo momento, sostengono i filogovernativi, il partito ha imboccato un'altra strada, quella che deve portare la linea alfaniana che ha vinto ad affermarsi, senza spargimenti di sangue o epurazioni, ma con una riorganizzazione che rispecchi il nuovo assetto. Difficile, però, che i «lealisti» si accontentino di questa risposta.