Pisapia vuole una cabina
di regia senza big

Pisapia vuole una cabina di regia senza big
di ​Nino Bertoloni Meli
Sabato 15 Luglio 2017, 08:43 - Ultimo agg. 09:04
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Un risultato Giuliano Pisapia l'ha già ottenuto, con la sua minaccia di fare un passo indietro, di lato, di sopra o di sotto: in cabina di regia sarà regista unico, non avrà aiuto registi ingombranti, sarà soltanto lui a dare il ciac. A metà pomeriggio si fa vedere alla Camera il senatore Miguel Gotor, capo degli scissionisti di palazzo Madama, e informa: «Nella cabina di regia non entreranno né Bersani né D'Alema». Il passo indietro, in sostanza, lo fanno gli altri, gli ex big. Non si sa, ma si può immaginare, se sia stato lo stesso Pisapia a suggerirlo (imporlo), o se si sia trattato di una autoesclusione. Fatto sta che lunedì ci sarà una pre-riunione di Mdp per mettere a punto tutti i dettagli, politici, programmatici e di organigramma, quindi, martedì, il giorno fatidico, l'incontro con Pisapia e il varo della cabina. 
Ne faranno parte, oltre al leader che viene da Milano, i due capigruppo Cecilia Guerra e Francesco Laforgia; Arturo Scotto, ex capogruppo che ha lasciato Sinistra italiana; Enrico Rossi, presidente della Toscana, autore del saggio sulla Rivoluzione socialista. Dietro il varo di questo nuovo vertice della nuova formazione che, quando sarà, sfiderà le urne, si è consumato un vero e proprio braccio di ferro, politico e personale. Pisapia lo ha detto fin dal primo momento che puntava a un qualcosa di nuovo e non al riciclaggio di qualcosa di vecchio. E l'altro giorno lo ha di nuovo ribadito: «La rottamazione non mi piace, ma la rotazione la voglio, intendo favorirla». Con il corollario importante dei due mandati in Parlamento, «io li ho già fatti, sono stato eletto due volte, e mi basta», ma è chiaro che lo sguardo è andato su ben altri mandati, visto che Massimo D'Alema vuol tornare in Parlamento «se la Puglia glielo chiede in massa», e Pierluigi Bersani non disdegna neanche, e a Pisapia lo ha fatto sapere. Non certo per puntiglio personale, hanno spiegato entrambi gli ex ai loro interlocutori, quanto per una sorta di realizzazione di un progetto politico: se nel Paese c'è ancora una buona fetta di sinistra che si riconosce nei due ex leader, è normale e giusto che ne consegua una proiezione in Parlamento. 

Pisapia leader per acclamazione? D'Alema lo ha di fatto pre-scelto, ma non ancora incoronato, visto che in una intervista al Fatto ha parlato di primarie in autunno per la scelta del leader (non del candidato premier, «quello in un sistema proporzionale non serve»). Lo stesso D'Alema sembra poi aver chiuso con l'ipotesi di dar vita a una lista di sinistra-sinistra («Non possiamo rifare l'ennesima sinistra arcobaleno»), definisce Fratoianni, che la propugna, «un simpatico giovanotto inutilmente polemico», e punta su Pisapia, un po' secondo lo schema adottato a suo tempo con Prodi («Conferiamo in lei la guida di questa coalizione e dell'Ulivo», il famoso discorso sulla cessione di sovranità, salvo poi riprendersela tutta in corso d'opera), uno schema adesso in formato bonsai ma che torna utile. 
In contemporanea, con una regia a tappe, si consumano ulteriori abbandoni del Pd, in periferia (nelle Marche) e anche in Parlamento (ieri è andata con Mdp Elisa Simoni, orlandiana e imparentata con Renzi). Girano sempre le voci di possibile addio da parte di Cuperlo e Pollastrini, molto vicini a Pisapia, ma finora sempre smentiti, per non parlare di Andrea Orlando che la parola abbandono non vuole neanche sentirla pronunciare («Io voglio rifare un Pd nuovo, ma dall'interno»).

Le voci comunque persistono, tanto che il portavoce renziano, Matteo Richetti, è dovuto intervenire per smentirle e per dire anche che il Pd «una seconda scissione non solo non la vuole, ma intende scongiurarla, lavoreremo perchè non accada». Si incrudisce anche l'atteggiamento di Mdp rispetto al governo. «Renzi canta la messa e Gentiloni porta la croce», sintetizza a mo' di parabola Scotto, che spiega: «Abbiamo chiesto discontinuità, misure nuove, provvedimenti sociali, ma l'attuale premier si pone in totale continuità con il predecessore». Da governo amico, Gentiloni è diventato l'altra faccia, sia pure più educata, del renzismo.

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