Politica e società
i due ritmi

di ​Biagio de Giovanni
Giovedì 8 Dicembre 2016, 16:03
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L'ondata è sempre la stessa, nelle situazioni più diverse, per le convocazioni elettorali più differenti tra loro: stessa l'ondata che produce Brexit, che produce Trump, che ha spinto il no al referendum di qualche giorno fa e che, forse, ci darà altri risultati nelle future elezioni politiche, italiane ed europee, salvo un drastico quanto improbabile rimescolamento di carte e una diversa riorganizzazione di forze e di idee. Voglio essere netto e chiaro, sperando anche di stimolare la discussione dopo che la campagna elettorale, per responsabilità di tutti, è stata all'insegna della contrapposizione secca e sempre più lontana da un reciproco riconoscimento delle ragioni in campo. Una campagna, è stato detto, per molti aspetti aberrante. Ma torno al merito del problema da cui sono partito. Avanza dappertutto una ondata decisa a distruggere e sommergere le élite politiche di governo, anche quelle più consolidate e che sembravano destinate a lasciare una eredità. Si pensi a ciò che è avvenuto in America, dove Trump ha vinto non solo contro la Hillary, ma contro Obama presidente trionfalmente rieletto 4 anni fa e che lasciava, comunque lo si giudichi, una eredità di non poco conto e che, come ben si sa, ha dato un appoggio formidabile alla candidata. Trump non è un repubblicano, ma un uomo d'affari che ha vinto contro il suo stesso partito. Non mi dilungo su Brexit, data la palmare evidenza dello stesso discorso: tutto il sistema contro, ma sul voto referendario l'antisistema vince.

È un trend che sembra inarrestabile, con finora la piccola eccezione dell'Austria dove peraltro, e di stretta misura, è stato eletto un Presidente con scarsi poteri politici. In Italia il punto vero in discussione, nella coscienza generale, nel movimento complessivo, nell'opinione che si forma in maniera anche tumultuosa, è stata: Renzi è il sistema o è l'antisistema? Che cosa gli dà forza? È la nuova casta, o è ancora il Renzi che ha rottamato la vecchia? Non mi riferisco, ben s'intende, alle sottili disquisizioni costituzionali che hanno impegnato i migliori ingegni d'Italia e che hanno avuto influenza su ridotte zone d'opinione, né a motivazioni portate avanti da diverse parti politiche; ma al movimento generale d'opinione che si è andato formando nel fondo stesso della società, sull'onda di reali profondi disagi che trovano il loro sbocco provvisorio nel rigetto di quella che al momento appare il sistema e l'élite dominante, incolpata di ogni nefandezza. Ben s'intende che ci sono, di questo stato di cose, ragioni profonde che stanno mutando le forme stesse della ragion politica con effetti che è difficile misurare nella prospettiva, ma che consentono di ragionare sull'oggi e di comprendere qualcosa del corso degli eventi. E anzitutto la velocità di questi eventi.

Si pensi al paradosso italiano, nel voto referendario: tutta la vecchia élite politica, che ha fatto sistema fino a qualche anno fa, è stata dalla parte del rigetto, ed è riuscita a farsi interpretare, nell'affollato e fluido movimento dell'opinione generale, come il sorprendente nuovo che avanza, come vera portatrice di un rinnovamento possibile. Paradosso, ma ben comprensibile nella velocità del movimento dell'opinione politica. Responsabile è l'élite di governo, comunque. Soprattutto se, avendo un piglio decisionista, ha rischiato di mettere in discussione i tempi lenti del compromesso permanente. L'avanzata in tutta Europa e in America di questo tipo di movimento d'opinione ha profonde motivazioni sulle quali qui non c'è possibilità di tornare analiticamente. Non è moto di superficie, ma risponde ai gravi elementi di crisi presenti nelle società dell'Occidente globalizzato, dove per mettere in evidenza un solo punto - l'unità «populista» del movimento d'opinione si forma anche lontana da quei luoghi dove alcuni gruppi dirigenti immaginano di dirigerla.

Tutto ciò, naturalmente, ha una piena legittimità democratica, ma pone domande inquietanti sulle modalità di governo possibili in queste società, avvolte nella crisi. In una crisi che è e sarà tutt'altro che di breve periodo e che ha bisogno di tempi, di strategie, di culture politiche adeguate alla sua complessità, una crisi che mette in relazione economia, finanza, politica, nazionalità, sovranazionalità, con tutto ciò che a queste parole e a tante altre possibili si connette.

C'è, ormai, come un contrasto forte tra la complessità delle questioni che sono in campo e la velocità dei flussi d'opinione che rimettono di continuo tutto in discussione. Questo mio ragionamento non intende assolvere le élite dirigenti e considerare populismo tutto ciò che le abbatte, non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo, né intende sottovalutare le stesse responsabilità di Matteo Renzi. Intende comunicare un'impressione precisa e specifica su ciò che sta avvenendo nel mondo e che, a creder mio, è appena avvenuto qualche giorno fa sul voto referendario, quando il No ha unificato, per dir così, gruppi politici che si trovano tra loro in una lotta permanente, usando come collante la difficoltà del rapporto tra una società in crisi e il governo che fino ad oggi la rappresentava. E non si porti, per piacere, come argomento, il pericolo della «deriva autoritaria». Il che spinge ad un'ultima osservazione che non si può tacere.

L'Italia entra in una fase difficile e oscura della sua prospettiva. La crisi di governo non è nata dal prevalere di un'alternativa politica che consenta di prevedere ciò che accadrà dopo: il Pd esce dalla vicenda talmente diviso e scisso da non far prevedere nulla di buono sulla possibile unità del suo futuro politico; il vecchio centro-destra federato da Berlusconi non esiste più né può esistere nella nuova congiuntura che lo attraversa; il Movimento cinque stelle ha costituito è un giudizio politico - una delle prime irruzioni organizzate di quel movimento di opinione anti-élite che oggi si diffonde dappertutto. L'Italia è stata spesso un laboratorio politico anche per la vitalità antiistituzionale del suo modo di vivere la politica. La democrazia è anche questo, non sto prevedendo catastrofi, ma si tenga conto spero che questa coscienza diventi sempre più forte - che il mondo non ci aspetta, che le scadenze che ci stanno davanti sono tese e drammatiche, e nulla è necessario aggiungere a questo se non la necessità che questa consapevolezza si diffonda per davvero e senza riserve nelle classi dirigenti.
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