L'avviso al premier
e difesa della Carta

di Pietro Perone
Domenica 4 Dicembre 2016, 23:28 - Ultimo agg. 5 Dicembre, 03:29
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E con questo siamo pari: No alla riforma della Costituzione versione Renzi-Alfano, così come nell’estate 2006 gli italiani dissero No al premierato forte e al federalismo spinto targato Berlusconi-Bossi. Dieci anni per tornare al punto di partenza, epilogo di un lungo pressing esercitato da Giorgio Napolitano durante il suo lungo mandato al Colle, tra appelli alle forze politiche e lettere inviate al Parlamento. 

Renzi prende atto della sconfitta e annuncia in diretta tv la sue dimissioni nella notte della grande partecipazione al voto che rende ancora più amara la sconfitta. Altissima la percentuale di elettori che azzera gran parte delle analisi fatte in questi anni circa la crescente disaffezione dal voto. Il Paese, lo ha dimostrato ieri, non è disilluso rispetto allo strumento principe della democrazia, le urne. Partecipa quando avverte di poter contare e decidere al riparo di alchimie politiche, congiure di Palazzo, pezzi di partito che tradiscono. L’Italia non è dunque stanca delle elezioni, ma vuole che servano per decidere davvero. L’ha fatto come non accadeva da tempo, l’ha fatto partecipando in massa, un po’ meno al Sud, a un referendum senza quorum, consapevole che il proprio voto sarebbe valso a cambiare le istituzioni o a lasciarle così come sono, consapevoli tutti, sia quelli del Sì che quelli del No, che era in ballo una Carta che ognuno sente a pelle come le fondamenta del vivere civile. 

Finisce così il lungo pressing esercitato da Giorgio Napolitano durante il suo lungo mandato al Colle, tra appelli alle forze politiche e messaggi inviati al Parlamento. Per buona pace dell’ex presidente della Repubblica, anche stavolta gli italiani hanno deciso che la loro Carta forse non sarà «la più bella del mondo», come sosteneva un tempo il poi «pentito» Roberto Benigni, ma non è la «madre» di tutti i problemi. Sono altri, e ben più complessi, i gap strutturali che ci inchiodano ormai da troppi anni a una crescita riassumibile in qualche decimale, specchio di una nazione dove ancora non si riesce a premiare il merito e si naviga a vista in troppi settori centrali per lo sviluppo.
E ora? Doveva essere un verdetto sul funzionamento delle istituzioni, è stato trasformato, purtroppo, anche nel giudizio finale sul governo. Errori di quelli che in politica si pagano e Renzi ha infatti preso atto del micidiale flop consegnando agli italiani dimissioni, che avrebbe però dovuto porgere prima nelle mani del presidente della Repubblica, così come appunto prevede la Costituzione. L’ipotesi più probabile è che invece Sergio Mattarella voglia rispettare fino in fondo la prassi costituzionale, chiedendo ugualmente di verificare in Parlamento se c’è ancora una maggioranza, proprio in ossequio a quella Carta in vigore da settant’anni e che ieri notte è stata rinverdita. 

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