Referendum, il giorno della verità
l’Italia decide sulla Costituzione

Referendum, il giorno della verità l’Italia decide sulla Costituzione
di ​Gigi Di Fiore
Domenica 4 Dicembre 2016, 07:09 - Ultimo agg. 11:33
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Otto mesi, senza risparmiare neanche una polemica. Dopo otto mesi di campagna elettorale al vetriolo, finalmente oggi si vota. Seggi aperti dalle sette del mattino alle undici di stasera, per decidere sì o no alla riforma costituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi. Su tutto il territorio nazionale, gli elettori sono 46 milioni e 714.950. Al voto, in un appuntamento apparso privo della passione civile dei referendum sul divorzio e l’aborto che divisero l’Italia. Più che sul merito, la battaglia elettorale è stata combattuta sulle divisioni politiche e il consenso al premier Matteo Renzi che, sin dall’inizio, ha difeso la riforma come conquista del suo governo. 
 



Il professore Edoardo Novelli, docente di comunicazione politica all’Università Roma tre ha paragonato i «toni apocalittici» della campagna elettorale sull’attuale referendum a quelli del 1948. Quell’anno, «De Gasperi parlava del piede caprino di Togliatti, lasciando intendere una derivazione demoniaca» ricorda il docente. Stavolta, non sono stati scomodati paragoni con Satana, ma non si sono certo risparmiati proclami da ultima spiaggia. 

Renzi ha inizialmente identificato la bocciatura della riforma con un no al suo governo, ipotizzando eventuali sue dimissioni in caso di sconfitta. Poi, quando da Matteo Salvini a esponenti di Forza Italia come Renato Brunetta fino naturalmente al Movimento 5 Stelle il no al referendum è stato associato al «Renzi a casa», il premier ha smorzato la sua tesi di avvio campagna elettorale.

Lo schieramento per il no si è subito mostrato eterogeneo, ma agguerrito: a destra la Lega di Salvini, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Forza Italia con un Silvio Berlusconi all’inizio apparso non molto impegnato in campagna elettorale; a sinistra, la minoranza del Pd con Bersani, Speranza e D’Alema in testa; poi il Movimento cinque Stelle con una campagna elettorale dai toni forti e provocatori. Nessuno si è risparmiato. 

Anche a favore del sì, però, lo schieramento è sembrato non particolarmente omogeneo, anche se accomunato dall’appoggio al governo Renzi: la maggioranza del Pd, poi il Nuovo centro destra di Alfano, centristi come Pier Ferdinando Casini, il gruppo di Verdini. È stato subito chiaro che, in una campagna elettorale dove la posta in palio era la modifica di norme costituzionali, non è stato sempre agevole spiegare a tutti con immediatezza cosa si dovesse decidere. La comunicazione ha le sue regole, ancora di più ne ha la comunicazione politica di una campagna elettorale: immediatezza, comprensibilità, sintesi, emozione sono le caratteristiche principali. La conseguenza non poteva che essere lo spostamento su argomenti differenti dal quesito tecnico: il governo Renzi, la difesa della casta, la deriva autoritaria. E, proprio per questo, sul quesito inserito sulla scheda, sono stati presentati ricorsi diversi, ritenendolo incomprensibile e manipolatore. Ricorsi respinti, perché i quesiti ripropongono, come da prassi, la legge su cui esprimere un giudizio. 

In campagna elettorale, sono arrivati il referendum che in Gran Bretagna ha detto sì all’uscita dall’Unione europea e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, che hanno smentito le previsioni dei sondaggi. Per mesi, i sondaggi hanno dato il no vittorioso e anche l’attendibilità delle previsioni è stato tema di campagna elettorale. «Ce la giocheremo sul filo dei voti» è stata una delle ultime dichiarazioni di Renzi in viaggio più volte a Napoli e in Campania. Era il Sud, secondo i sondaggi, più favorevole al no. E, per questo, proprio nel Mezzogiorno il premier si è giocato molta parte della sua campagna elettorale. Nel Sud delle polemiche sui fuori onda e sulle registrazioni di dichiarazioni del governatore Vincenzo De Luca, che ha abusato delle sue battute invitando i sindaci della provincia di Salerno a portare al voto gli elettori anche «offrendo una frittura di pesce».

Accuse di voto di scambio da Beppe Grillo e anche Matteo Salvini ha rincarato la dose, sospettando brogli nella raccolta dei voti per corrispondenza dei 3.963.580 italiani residenti all’estero, cui si sono aggiunti altri 31.462 italiani temporaneamente all’estero, che hanno scelto di esprimersi per posta. «Il Paese è spaccato» ha sentenziato Grillo. Mentre, ritornando al tema di inizio campagna elettorale, il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, nelle sue dichiarazioni finali in tv ha dichiarato che, se vincerà il no, «Renzi andrà dal presidente Mattarella a consegnare la sua disponibilità».

Il timore dell’instabilità politica altro tema di campagna elettorale a favore del sì. Ma più forti sono stati i personalismi. Grillo ha detto di Renzi che «ha portato la bugia ad un alto livello, l’ha istituzionalizzata». Renzi sui grillini: «Se mi denunciano, a differenza loro, non mi avvarrò delle facoltà di non rispondere». D’Alema, invece, sull’annuncio di Romano Prodi a favore del sì: «Il suo giudizio è piuttosto negativo sulla riforma, a differenza sua io parto dall’idea che se i giudizi sono negativi si vota no». E Matteo Salvini: «Nonostante i voti inventati o comprati in giro per il mondo da Renzi, il voto degli italiani farà vincere il no». Poi Silvio Berlusconi: «Questo referendum è pericoloso per la democrazia». A una settimana dal voto, l’Economist, prestigioso settimanale inglese, schierandosi a favore del no, ha ipotizzato la nomina di un governo tecnico dopo il risultato del referendum.

È stata un’altra spruzzata di veleno, con Renzi a replicare: «L’ultimo governo tecnico che ricordo ha alzato le tasse». Ma anche alla vigilia del voto non sono mancate le polemiche, con accuse reciproche di violazione in Rete della giornata del silenzio. Deborah Bergamini, responsabile Comunicazione di Forza Italia, ha parlato di «pubblicità a favore del sì, su Google». Dalla parte opposta, Antonio Funiciello, presidente del comitato nazionale Basta un sì, ha denunciato la diffusione di un video propagandistico. Epilogo rovente di una campagna elettorale rovente. All’estero intanto hanno votato un milione e 600mila italiani. Il 40 per cento. Voti decisivi.

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