Renzi e il libro “Avanti”: fra sassolini, mea culpa e il sostegno a Gentiloni

Enrico Letta e Matteo Renzi nella cerimonia di passaggio delle consegne il 22 febbraio 2014 (Ansa)
Enrico Letta e Matteo Renzi nella cerimonia di passaggio delle consegne il 22 febbraio 2014 (Ansa)
di Marco Conti
Mercoledì 12 Luglio 2017, 16:01 - Ultimo agg. 13 Luglio, 09:04
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ROMA - Presenta il suo libro “Avanti” al Maxi, sostenendo che si tratta di un racconto “sentimentale” dei suoi tre anni a palazzo Chigi e giura di non avere “la fissazione”di tornarci e che “ decideranno gli italiani”. “Matteo Renzi non cambia i suoi toni nemmeno tenta di ammorbidire la forza della sua narrazione e la storia di un personaggio molto competitivo sceso da Firenze e che in pochi mesi si è “preso”, prima il più importante partito italiano e poi il Paese. 

Giura pieno sostegno al governo di Paolo Gentiloni, gli lascia piena libertà sullo ius soli che difende e ripete che i migranti vanno accolti ma che occorre lavorare per “aiutarli a casa loro”.

Molte le indiscrezioni o i sassolini che il segretario del Pd si leva. Rivela che fu Berlusconi a proporgli di votare per mandare Giuliano Amato al Quirinale sostenendo di avere in tasca un’intesa con D’Alema e l’allora minoranza del Pd. D'Alema ha però smentito, ma l’ex premier insiste: «E’ curioso perché D'Alema non partecipava all'incontro. Sfido chiunque a dire che non è andata in quel modo». E poi ancora con il ricordo dell’avvicendamento a palazzo Chigi con Enrico Letta: «Un'operazione politica voluta in primis dall'allora minoranza del Pd»  «che io ho pagato a livello reputazionale, ma a livello politico ha smosso l'Italia. E quindi la rifarei». (Parole a cui in serata ha replicato duramente il diretto interessato).

«E poi - aggiunge - c'è un aspetto umano molto forte, che è quello che più mi sta a cuore, i momenti di confronto, le ferite, le cicatrici, i commenti dei miei figli dopo il referendum». Mea colpa  si leggono anche sotto il profilo della comunicazione, con gli 80 euro definiti «bonus» e non «la più grande ridistribuzione dei reddito alle classi medie e medio-basse». E poi ancora «ho sbagliato nel proporre una rivoluzione culturale quale quella che abbiamo (parzialmente) realizzato con uno stile di comunicazione che somiglia più all'offerta di un supermercato che a un progetto politico. Quando, uscito dal Quirinale con la lista dei ministri dico che faremo una riforma al mese, voglio dare il senso dell'urgenza ma appaio, probabilmente, più simile al piazzista che allo statista».

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