Occasione mancata/ La resa inutile al posto della riforma

di Oscar Giannino
Venerdì 17 Marzo 2017, 00:05
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Un successo clamoroso per la Cgil antagonista, un mesto ammainabandiera per la sinistra riformista. Questa la sintesi politica della decisione ieri assunta dal governo sui voucher. Non potendo fidarsi dei tempi lunghi di un esame parlamentare sulle modifiche da apportare ai voucher per annullare il referendum proposto dalla Cgil e fissato per il prossimo 28 maggio, e soprattutto intimorito dalla giostra di posizioni diverse emerse nel Pd e nella maggioranza sulle revisioni da apportarvi, il governo ha preferito una via diversa. 

Accogliere in toto la proposta abrogativa avanzata dalla Cgil, con un decreto legge a vigenza immediata che sarà emanato oggi. Seppellire di colpo i voucher con una sentenza di morte illacrimata, senza alcun rispetto per le cifre e i fatti che attestano una loro natura e utilizzo radicalmente diversi, dalla demonologia loro riservata dalla sinistra antagonista. 

Chi l’avrebbe mai detto, che le divisioni del Pd esplose dopo tre anni di governo Renzi possono recare in dote alla Cgil ciò che la Corte Costituzionale lo scorso 11 gennaio le aveva giustamente sottratto.

Respingendo limpidamente il quesito contro la riforma dell’articolo 18 dello Statuto in materia di reintegra giudiziale al licenziamento, un quesito “creativo” che confliggeva con la natura meramente abrogativa del referendum, la Corte aveva disinnescato l’ordigno che la Cgil aveva immaginato a fortissimo traino popolare, per ribaltare l’agenda sul lavoro perseguita da Renzi. Tutti, due mesi fa, immaginavano che sarebbe bastato un ordinario intervento manutentivo alle norme sui voucher per far decadere anche il quesito che dipinge lo strumento concepito per il lavoro accessorio come una forma di schiavitù e sfruttamento. Tanto la cosa sembrava destinata a questo esito, che la stessa Camusso nelle sue interviste sommessamente ammetteva “vedremo le modifiche che propone il Parlamento”. E invece no. Le cose sono andate in una maniera completamente diversa. Per la Cgil è una vittoria totale, Camusso e Landini possono giustamente esultare. 

I voucher nascono per il lavoro occasionale con la legge Biagi del 2003, ma non vengono applicati. Solo con successivi interventi tutti ad opera di esponenti della sinistra, da Damiano nel 2008 a Letta nel 2013, vengono di volta in volta estesi alla fine a tutti i settori del lavoro. Con l’idea che occorre una modalità ad hoc per far emergere dal nero i lavoretti accessori, mentre nel frattempo con il Jobs Act spariranno i co.co.co e i co.co.pro (nel lavoro privato, non nella Pa naturalmente...) accusati di essere odiose condanne al precariato. E ora, improvvisamente, il Pd decide di punto in bianco che i voucher non sono stati affatto rimodellati ed estesi per proprie meditate decisioni. Ma è come fossero caduti sulla terra dalle lune di Giove, come i temibili e inquietanti monoliti di Odissea nello Spazio.

Com’è ovvio, le diverse rappresentanze dell’impresa sono incredule, alla decisione assunta ieri dal governo. 
Sono i dati ufficiali raccolti dall’Inps, a dimostrare innanzitutto che i voucher rappresentano lo zero virgola qualcosa per cento del totale dell’offerta di lavoro italiana, non la schiavitù di massa nei campi di cotone del Sud confederato. Ma, ancor più, a indicare inequivocabilmente che i voucher sono proprio utilizzati nel commercio e nel turismo, laddove la domanda è stagionale, nei servizi alla persona e nella manutenzione degli impianti domestici, laddove la domanda è occasionale. E per una cifra media al percettore annuale inferiore ai 5 mila euro: esattamente a conferma dell’occasionalità delle prestazioni. 

Ed è per questo che ieri le imprese di questi settori hanno immediatamente fatto notare al governo e alla maggioranza che l’abrogazione sic et simpliciter del voucher, invece magari di qualche opportuna limitazione ai tetti di utilizzo, significa rispalancare le porte al lavoro nero. Come era prima: perché il contratto di lavoro a intermittenza, pre esistente ai voucher, non ha mai avuto successo per evitare il nero, irto com’è di adempimenti amministrativi e di oneri. E per di più, pensate, applicabile solo a una lista esclusiva di una cinquantina di mansioni e categorie stilata in un regio decreto del 6 dicembre 1923. La bellezza di 94 anni fa: il che misura precisamente quanto indietro ci facciano andare la vittoria della Cgil e l’ammaina bandiera del Pd. 

Non è solo una pessima notizia per il mercato del lavoro. E’ anche un preciso segnale politico di grande debolezza del governo Gentiloni, un lacerante campanello d’allarme per la sua tenuta e durata. E’ tosta andare avanti così fino al 2018, osservano per primi esponenti renziani del Pd. E infatti le divisioni interne pesano. E sono evidenti: sulle nomine in via di definizione, sulle anticipazioni delle misure su spesa a tasse che dovranno costituire l’ossatura del Def in arrivo entro aprile, sulle scelte di fondo che dovranno poi essere compiute nella prossima legge di bilancio, che parte con il piombo nelle ali di 20 miliardi di clausole fiscali da sventare, e di un deficit da tagliare di oltre un punto di Pil. 

Che pessima maniera di ricordare il quindicesimo anniversario della scomparsa di Marco Biagi, assassinato dai terroristi il 19 marzo del 2002. E che malinconica sconfitta per i riformisti del Pd. La prima regola di una leadership efficace è di non frazionare mai l’unità di comando e lo spirito delle proprie forze. E’ proprio ciò che ieri è venuto meno, issando bandiera bianca sui voucher.
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