Riforme, via libera ai nuovi poteri del Senato: sì all'articolo 10

Stefano Candiani e Roberto Calderoli
Stefano Candiani e Roberto Calderoli
Martedì 6 Ottobre 2015, 10:58 - Ultimo agg. 7 Ottobre, 11:55
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Via libera dell'Aula del Senato all'articolo 10 del ddl riforme, che modifica l'art.70 della Costituzione in merito procedimento legislativo affidato a Camera e Senato. Il sì all'articolo arriva con 165 voti favorevoli, 107 contrari e 5 astenuti. Via libera al delicato articolo 10 del ddl sulle riforme. Il nuovo Senato si occuperà, come la Camera, di leggi costituzionali, di referendum, di Unione europea, di comuni e città metropolitane: in queste materie ci sarà ancora il bicameralismo paritario. Per tutto il resto, deciderà solo Montecitorio.

Il governo che se da un lato ottiene un'accelerazione dei lavori in Aula - auspicando che il dibattito possa già concludersi entro la settimana - dall'altro deve fare i conti con la «resistenza passiva» delle opposizioni e con una maggioranza al Senato che sul voto segreto scende a quota 153, ben 8 unità al di sotto di quella assoluta.

Nella maggioranza del Pd si dicono comunque soddisfatti, reputando «fisiologica» la perdita di numeri sui due voti segreti votati: il primo respinto con 153 no e 131 sì (e 3 astenuti), il secondo con 154 no e 136 sì (e 5 astenuti).

Una perdita che, salvo le 2-3 eccezioni già registrate in questi giorni, la minoranza Pd non imputa a un suo rinnovato malcontento mentre più di un esponente dem osserva come il balletto dei numeri (con una maggioranza che sul voto palese ha viaggiato su quota 165) potrebbe essere stato orchestrato dai verdiniani con l'obiettivo di far sentire il loro peso. Più alta, infatti, è stata l'asticella della maggioranza sui voti finali ai due articoli approvati oggi: sul 7 i sì sono stati 166, i no 56 e gli astenuti laddove sul 10 i favorevoli sono stati 165, i contrari 107 e sempre 5 gli astenuti.

Compatta, a parte Corradino Mineo e Walter Tocci, anche oggi critici con il governo, la minoranza Pd, impegnata nei contatti con governo e maggioranza per sciogliere i due nodi chiave ancora rimasti: l'adeguamento della norma transitoria alla modifica intervenuta sull'elettività dei senatori e la platea degli elettori del presidente della Repubblica.

«Abbiamo registrato delle aperture», spiega in serata un esponente della sinistra Pd laddove fonti della maggioranza restano prudenti su un cambio della norma transitoria, considerato piuttosto delicato dal punto di vista tecnico e sostituibile con la previsione, in tempi brevi, di una legge quadro che codifichi quella «scelta» dei senatori/consiglieri da parte dei cittadini disciplinata dall'art.2.

Sull'art. 21 relativo all'elezione del capo dello Stato, invece, è il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti a sottolineare come sia «possibile» una sua modifica, «recependo le istanze e le proposte dell'opposizione». Il punto di caduta potrebbe essere l'allargamento della platea ai delegati regionali, come attualmente previsto dalla Carta, che si aggiungerebbero così ai deputati e ai 74 senatori/consiglieri.

Al Quirinale, tuttavia, nonostante le sollecitazioni dell'opposizione, la linea non cambia e resta quella secondo la quale, finché il governo non va sotto, non si può dire che non ci sia una maggioranza. Non si tratterebbero perciò, come indicato da alcuni, di riforme di minoranze perché se il governo Renzi ponesse la fiducia, con tutta probabilità la otterrebbe. Quelle in atto, si osserva ancora, sono votazioni sulla riforma costituzionale che attendono, in ogni caso, al gioco parlamentare. Osservazioni, queste, che potrebbero far cadere nel vuoto un eventuale appello delle opposizioni (in concreto una richiesta di incontro su questo tema), le quali, allo stesso tempo, sono ancora divise su un eventuale Aventino: la Lega è tra le più convinte mentre FI sottolinea come sia «un'esperienza che non condividiamo».

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