Senato, Napolitano stoppa Monti
il Pd verso le due presidenze

Monti e Napolitano
Monti e Napolitano
di Alberto Gentili
Sabato 16 Marzo 2013, 08:31 - Ultimo agg. 10 Aprile, 16:33
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ROMA - Per ben due ore, Mario Monti, ha provato a convincere Giorgio Napolitano a dargli il via libera per la presidenza del Senato. Ha tentato anche con la sponda (telefonica) di Pier Luigi Bersani e con le argomentazioni giuridiche di Antonio Catricalà. Ma il capo dello Stato è stato irremovibile: «Non puoi dimetterti da premier, ti ritengo inamovibile e insostituibile. Il governo sei tu, sei tu che offri garanzie all’estero. E cosa fai? Lasci adesso? Non sappiamo neppure quanto tempo dovete ancora... durare». Di più: «Le tue dimissioni non avrebbero precedenti e l’ipotesi provoca dubbi e riserve di carattere giuridico-istituzionale». Conclusione: Monti si è arreso.



DUE DEL PD

Dopo il niet di Napolitano al professore, oggi il Parlamento potrebbe eleggere due piddini. Dario Franceschini alla Camera e Anna Finocchiaro al Senato. Una nomina, quest’ultima, caldeggiata dai dalemiani e apprezzata dalla Lega e da una parte del Pdl. Tant’è, che Finocchiaro potrebbe essere il nome giusto per guidare un esecutivo istituzionale di larghe intese dopo l’eventuale tentativo di Bersani. Un governo che apra la strada a un accordo ampio per il Quirinale sul nome della stessa Finocchiaro, di Massimo D’Alema o di Giuliano Amato.



IL VERTICE NOTTURNO

Nella notte Monti ha riunito Scelta Civica. Ha riferito dei veti del Pdl alle candidature dei montiani Mario Mauro, Benedetto Della Vedova, Linda Lanzillotta. «Considerano questi nomi una provocazione». E ha consigliato di non offrire altri candidati al Pd, neppure quello di Lorenzo Dellai per la presidenza della Camera: «Avevamo detto che la mia candidatura a palazzo Madama doveva essere nel segno di un’intesa larga tra Pd e Pdl. L’elezione di Dellai non farebbe altro che saldare un asse tra noi e il Pd e non è ciò che vogliamo». L’idea di Monti: stare alla finestra ora potrà permettere poi di allargare le basi di consenso istituzionale per un governo di larghe intese o per l’elezione del nuovo capo dello Stato. «Se saldiamo oggi una maggioranza che è in realtà una minoranza, è tutto finito». La riunione si chiude con la decisione di non avanzare candidature e di votare scheda bianca.



LA TRATTATIVA

Monti era arrivato al Quirinale determinato a strappare un sì. Il professore aveva studiato la strategia: un Consiglio dei ministri questa mattina per la nomina di un vicepremier (Anna Maria Cancellieri) e poi le dimissioni da capo del governo per poter essere incoronato presidente del Senato. Un’opzione gradita anche da Bersani: un governo guidato da Cancellieri sarebbe stato più facile da scalzare e dunque più semplice sarebbe stato ottenere da Napolitano un mandato pieno a formare l’esecutivo di minoranza. Quello che potrebbe incassare solo la fiducia della Camera e portare il Paese a nuove elezioni.



Per mantenere la posizione Monti, in nome di un ”sì” condizionato all’adesione del Pdl al ”patto istituzionale”, aveva bloccato la trattativa condotta dal Pd con il montiano Dellai per la Camera. E aveva detto ”no” all’ipotesi di Mauro o Lanzillotta al Senato. Proprio per questo non erano mancati forti malumori dentro Scelta civica.



A metà giornata anche il Pdl era stato scosso da un fremito. Palazzo Madama era stato percorso da una voce: Monti eletto con i voti di Pdl e Lega, contro il Pd. Ma Silvio Berlusconi, prima di uscire dal San Raffaele, ha dato un immediato stop: «Sarebbe una vittoria tattica, ma non strategica. Il nostro obiettivo è avere un candidato condiviso per il Quirinale che mi garantisca agibilità politica». Traduzione: no all’eventuale richiesta di arresto da parte dei pm, no alla decadenza da parlamentare.
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