M5S, Toninelli: «Basta uomini soli al comando, Di Battista non può decidere»

M5S, Toninelli: «Basta uomini soli al comando, Di Battista non può decidere»
di Valentino Di Giacomo
Giovedì 24 Settembre 2020, 15:46 - Ultimo agg. 25 Settembre, 07:07
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«È vero che abbiamo perso tanti voti, ma adesso ci riorganizzeremo, modificheremo lo statuto e non ci sarà più un capo politico. L'uomo solo al comando non porta da nessuna parte, ci sarà un organo collegiale anche per metterci meglio in collegamento con i territori». Danilo Toninelli, ex ministro delle Infrastrutture, oggi è un senatore semplice del M5s. Dà per scontato che ci sarà un riordino nel Movimento, nonostante alcuni come Alessandro Di Battista spingano per far eleggere un nuovo capo politico.

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Di Battista accusa Di Maio, quest'ultimo è in conflitto con il premier Conte. Ci sarà una scissione? In Senato dove i numeri sono già ballerini teme altri abbandoni?
«Chi conosce i veri valori e il significato di essere un membro M5s non arriva nemmeno lontanamente a immaginare una scissione. Ci riorganizzeremo con un direttorio e ognuno avrà un ruolo specifico. Al Senato si reggerà, chi ha abbandonato il Movimento lo ha fatto per ragioni di stipendio o interessi personali. Conte è un grande premier e lo abbiamo portato noi».

Non è una scena già vista? Già c'era un direttorio e poi avete scelto di avere un leader per la lentezza nel prendere ogni decisione. Lei si candiderà per farne parte?
«Se mi candido non glielo dico, ma sarà qualcosa di snello e funzionerà».

Serve per tacitare gli scontri interni? Di Maio ha pure velatamente accusato Crimi. E poi Di Battista vuole un capo politico, come si fa?
«Vito Crimi da reggente ha svolto un ottimo lavoro e così Di Maio prima, entrambi remano per far andare la barca nella stessa direzione. Sul direttorio decideranno 140mila iscritti, non Di Battista o altri».

Si voterà su Rousseau? Lei continua a pagare per tenere in vita la piattaforma o come molti altri non versa più il contributo?
«È un impegno scritto dentro il nostro codice etico, firmato e sottoscritto da tutti i candidati. Gli impegni si mantengono e Rousseau è uno strumento utile».

Dice Di Battista che in Campania ci sono tanti leader del Movimento come Di Maio, Fico, Spadafora, ma nonostante tutto i risultati sono stati modesti. Concorda?
«È sotto gli occhi di tutti che in Campania ci sono clientele, De Luca ha messo su 15 liste con gente passata da una parte all'altra come Mastella».

Non ha fatto lo stesso M5s passando da allearsi con la Lega al Pd?
«Cosa c'entra? Io mica sono entrato nella Lega o, dopo, nel Pd».

Come cosa c'entra? Anche Mastella non è entrato nel Pd.
«Ma noi l'abbiamo fatto sulla base di un programma e dandoci degli obiettivi».

Anche chi è andato con De Luca. Prima però si è sottoposto al voto dei cittadini, non dopo le elezioni.
«Vabbè sembra che vogliamo fare filosofia, mi sembra un dibattito e non un'intervista. Poi una cosa sono i candidati, altra cosa sono parentele e clientele come fa De Luca».

Clientele o parentele? Vogliamo parlare del marito di Valeria Ciarambino, entrato nello staff dell'europarlamentare M5s Chiara Gemma o degli amici di Di Maio assunti nei ministeri?
«Ma non sono candidati, sono collaboratori».

Luigi Napolitano, amico dai tempi dell'università di Di Maio è stato candidato per il Senato, solo per fare un esempio recente.
«Bravissimo ragazzo, un ingegnere, sarebbe stato una risorsa».

Nessuno dice il contrario, si parlava di metodo. Sul referendum invece è contento per il risultato?
«Abbiamo mantenuto la promessa, ora depositeremo una proposta per il taglio degli stipendi dei parlamentari. Dove c'è il Movimento gli sprechi si cancellano».

Certo, ma come si spiega che invece Di Maio abbia uno staff che costa 710mila euro, il doppio dei suoi predecessori. Vuol dire che fare politica ha un costo?
«Ma lei è sicuro? Non sono informato. Evidentemente Di Maio gira, lavora tanto, io lo so che un ministero l'ho guidato. Di sicuro non si butta via un euro, basta guardare il bilancio della Camera da quando c'è Roberto Fico e i milioni di soldi risparmiati con pari funzionalità».

Proprio nessuna acrimonia verso i suoi colleghi anche dopo il suo addio al governo? Le fa onore.
«Non ho mai messo al centro me stesso, ma il progetto.

Io credo di essere stato il ministro che ha fatto di più nella storia: Ponte di Genova, lo sblocca cantieri, il 40% in più di gare e opere pubbliche. Mi ero fatto troppi nemici».

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