Un tecnico trasforma il voto segreto
in palese, il giallo del tabellone

Galeotto fu il dito sul tabellone che ha trasformato il voto da segreto a palese e ha sancito la rottura dell'accordo sulla legge elettorale. Un vero e proprio intrigo, difficile risalire al responsabile dell'inconveniente tecnico. E, come da italica tradizione, la naturale conseguenza è il gioco dello «scaricabarile» per rimpallarsi le responsabilità proprio come è avvenuto poi tra Pd e Movimento 5 Stelle.

Per scoprire come sono andate le cose, quasi come in una partita di calcio, alla fine è servita la moviola delle immagini registrate. L'ufficio stampa di Montecitorio spiega il caos scoppiato con un «disguido tecnico», ma in realtà si è trattato di un errore. Resta da capire chi l'abbia commesso.

Di sicuro il tecnico che ha il controllo del tabellone avrebbe dovuto premere il tasto per attivare il voto segreto e invece ha pigiato sul pulsante per quello palese. Per circa tre secondi è stata quindi data a tutti la possibilità di visualizzare le luci verdi e rosse che indicano se un parlamentare ha votato a favore o contro l'emendamento. Se invece fosse stata attivata la funzione del voto segreto tutte le luci avrebbero dovuto risultare di colore azzurro.
Per difendersi dall'errore il tecnico si è giustificato dicendo che la presidente Boldrini, nell'annunciare la votazione, non ha chiarito la modalità. In avvio, in realtà, Boldrini aveva comunicato il voto segreto, ma è stata poi interrotta dall'ex deputato 5 Stelle, confluito poi nel gruppo Mdp, Zaccagnini. È trascorso qualche secondo di «batti e risposta» tra la presidente e il deputato. Quando però Boldrini ha annunciato nuovamente il voto sull'emendamento non ha ribadito se doveva trattarsi di una votazione a scrutinio palese o segreto ritenendo di averlo già fatto. A dire il vero i regolamenti le avrebbero imposto di ripeterlo proprio per non alimentare confusione.

Ma chi è il tecnico della Camera che avrebbe commesso l'errore? Alla Camera non hanno voluto chiarirlo spiegando solo che si tratta di un dipendente di una ditta esterna. L'azienda che fornisce il tabellone è la Eurel Informatica, leader del settore che ha tra i propri clienti non solo la Camera dei Deputati, ma anche il Senato, il Parlamento europeo, il Csm, diversi parlamenti regionali e persino il parlamento albanese. «Lo sbaglio non è da imputare al tabellone ha spiegato a Il Mattino il presidente di Eurel si è invece trattato di un errore umano non imputabile alla nostra società perché la gestione è affidata ad un'altra società». Quale sia l'azienda che gestisce il cervellone delle votazioni la Camera però non ha voluto confessarlo. Tra i fornitori di beni e servizi della Camera c'è sicuramente Eurel e, spulciando nei rendiconti di Montecitorio, la società romana ha ricevuto nel 2016 oltre 400 milioni di euro. Un ginepraio di affidamenti esterni solo per la gestione del cervellone elettronico.

Subito dopo la bagarre in aula, tra i commessi si vociferava che per questo inconveniente salterà qualche testa. «Non vorrei essere nei panni del tecnico ha raccontato uno degli assistenti parlamentari ma credo che non la passerà liscia». La legge elettorale per ora è saltata. E chissà che non salti pure un posto di lavoro. Ma in fondo, per dirla con il poeta inglese Alexander Pope, «errare è umano, perdonare è divino».