Addio alla guardia medica | I nodi irrisolti dell'assistenza

Addio alla guardia medica | I nodi irrisolti dell'assistenza
di Maria Pirro
Giovedì 12 Maggio 2016, 19:50 - Ultimo agg. 19:57
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 In Italia scompare la guardia medica, ma in Campania restano fantasma anche gli ambulatori per le cure primarie che avrebbero dovuto essere già aperti giorno e notte. Del piano originale, che ne ha previsti tra i 250 e i 300 disseminati ovunque nella regione e attrezzati per tentare di fermare l’assalto di ammalati ai pronto soccorso, se ne trova traccia prevalentemente sulla carta: negli atti di indirizzo lasciati dall’ex governatore Caldoro, rimessi al vaglio con l’arrivo di De Luca, che punta innanzitutto ad approvare un nuovo piano ospedaliero. In strutture da riconvertire, come l’Annunziata, dovrebbero trovare spazio.

La rivoluzione è così rimasta incompiuta, mentre se ne annuncia un’altra: forme diverse di organizzazione, che modificano di nuovo l’assetto complessivo dell’assistenza territoriale, sono all’esame nazionale e regionale e, tra queste, l’abolizione del servizio di continuità scatena le proteste (ieri a Montecitorio) di una parte della categoria, nell’insieme divisa.

La principale novità allo studio consiste infatti nel voler prolungare l’attività di medicina generale sino alla mezzanotte, utilizzando nei turni rafforzati i 20mila che oggi lavorano dalle 20 alle 8, oltre ai giorni festivi. E il progetto, che spinge in piazza il dissenso di diversi sindacati, è condiviso, nelle sue linee guida, dal presidente dell’Ordine dei medici di Napoli, Silvestro Scotti, peraltro medico di famiglia, leader italiano di un’altra sigla storica, la Fimmg, a lungo impegnato proprio nel settore. «Una riforma è doverosa», sostiene. Le sue ragioni sono chiare: i pazienti hanno bisogno di una maggiore presa in carico per non sentirsi costretti a ricorrere al pronto soccorso. 

«Considerata la carenza di risorse, lo spostamento di parte o di tutti i colleghi impegnati nei turni notturni, perché di questo si tratta, e non di una abolizione del servizio, potrebbe risultare prezioso per potenziare l’attività diurna, soprattutto visite e prestazioni domiciliari, creando quelle equipe di medici di famiglia che servono per una vera riforma dell’assistenza territoriale». Spiega Scotti, con dati alla mano e qualche distinguo: «I piccoli paesi fanno eccezione. Ma a Napoli sono in servizio per turno 43 guardie mediche, che garantiscono in ognuno dei dieci distretti sanitari 2 o 3 interventi, in media, dopo mezzanotte». Dai costi, in proporzione, troppo alti, secondo i dati in possesso del ministero della salute e dalla Sisac: incrociando il numero di contatti e le spese per garantire il presidio, risulta che per ogni prestazione (anche solo di consulenza telefonica) si spende dai 47 euro in Lombardia ai 184 euro in Basilicata, e circa 82 euro in Campania: la media nazionale è di 66. Naturalmente, non la pensa così Maurizio Andreoli, responsabile del centro studi del Sindacato Medici Italiani ieri alla manifestazione: «Il costo nell’insieme è di 605 milioni di euro all’anno pari a meno dello 0,5 per cento del fondo sanitario nazionale, ovvero 10 euro a cittadino: cifre da cui si capisce come non abbia senso smantellare questo servizio».

L’alternativa proposta è smistare gli sos, dopo la mezzanotte, al 118. «Una scelta che ha una logica, del resto circa il 20 per cento dei 60mila interventi da noi garantiti in città è di competenza della guardia medica», spiega Giuseppe Galano, presidente campano dell’Aaroi-Emac, il sindacato degli anestesisti, nonché direttore della centrale operativa del servizio di emergenza. «Inoltre, gli interventi di guardia medica, se recepiti da un centralino telefonico qualificato dopo la mezzanotte, potrebbero essere tranquillamente rinviati al mattino successivo», afferma Scotti, che domanda: «D’altronde, quali sono oggi i tempi di attesa per una prestazione di minore gravità, classificata codice bianco o verde, in un pronto soccorso d’Italia? Le otto ore spesso si raggiungono, o addirittura si superano». 

Tuttavia, «ci sono pesanti carenze nel nostro organico al 118, da colmare per garantire efficienza nelle risposte ed evitare che gli ammalati messi in coda possano a loro volta andare ad affollare i pronto soccorso», avvisa Galano. Così come per realizzare le unità di cure primarie promesse, servono personale e strutture adeguate. «In Campania manca innanzitutto una rete informatizzata per rendere consultabile il diario clinico dei pazienti sia da tutti i medici di famiglia che dagli specialisti ambulatoriali», caldeggia la svolta Saverio Annunziata, sindacalista del Sumai.

Intanto, soluzioni più semplici da realizzare restano al palo.
Una consiste, appunto, nell'apertura dei primi studi aggregati di medici di famiglia, dotati di centri prenotazioni, infermieri, ambulatori per ammalati cronici e laboratori analisi. Un po’ come accade già a Cerreto Sannita, nella Valle Telesina, dove il super-ambulatorio festeggia, il 15 maggio, il secondo compleanno: con oltre seimila visite all’attivo e altrettante ore di lavoro assicurate dagli operatori sanitari, tutti volontari. Ad esempio, a Napoli se ne potrebbero inaugurare con facilità due a Chiaia e a Bagnoli, con l'accordo di 
sindacati e Asl e progetti presentati già negli anni Duemila e ancora nei cassetti. «C’è una forte necessità di provvedere a una riorganizzazione, nonostante le chiare difficoltà politiche e gestionali», ribadisce Scotti, che sottolinea come la rivoluzione vada compiuta al più presto, e portata avanti assieme ad altre battaglie, come quella di una maggiore equità nella ripartizione del fondo sanitario tra le regioni che penalizza in particolare la Campania e quindi le riforme. «Ma occorre anche ottimizzare le risorse che abbiamo per investire nel miglioramento dei servizi», conclude.


 
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