Mortalità evitabile in Campania:
colpa di fumo, peso e sedentarietà

Mortalità evitabile in Campania: colpa di fumo, peso e sedentarietà
di Marco Esposito
Venerdì 18 Novembre 2016, 08:24
3 Minuti di Lettura
A Napoli la speranza di vita è tre anni e mezzo inferiore a Firenze, la terra diventata più longeva d'Italia. Ma la vita media a Napoli è anche 3,2 anni inferiore a quella di Milano, che non è certo un posto ameno come la provincia toscana. E, sempre a Napoli, è di 1,7 anni più bassa di Reggio Calabria, che pure ha condizioni sociali e sanitarie non migliori della città campana. Com'è possibile che proprio in questa specifica città, e più in generale in Campania, ci sia l'aspettativa di vita peggiore d'Italia? E quelle morti in eccesso sono evitabili?

Andare a caccia di una sola causa per spiegare il fenomeno della più alta mortalità rischia di portare fuori strada. Se dipendesse solo da ragioni climatiche, d'inquinamento, di assistenza sanitaria, culturali, Napoli (per l'esattezza la Città metropolitana di Napoli visto che le rilevazioni sono provinciali) dovrebbe condividere la sorte con territori socialmente simili. E invece la sola provincia con dati prossimi è Caserta e che pure può vantare mezzo anno di vita più di Napoli.

A rilanciare il tema, non nuovo, è la pubblicazione dei dati Istat aggiornati al 2015 e soprattutto l'anticipazione dei dati dell'Osservatorio nazionale sulla salute da parte di Walter Ricciardi, il presidente dell'Istituto superiore sanità. Vecchia o nuova che sia, la domanda sul perché proprio a Napoli la speranza di vita sia così bassa non ha mai avuto una risposta chiara. Ricciardi ha suggerito un'indicazione parlando di «frutti amari del federalismo sanitario spinto e non solidale di questi anni».

E il effetti il sistema sanitario della Campania è stato quello che più di altri ha sofferto la stretta legata all'austerity da commissariamento, attestandosi in modo stabile all'ultimo posto tra i venti sistemi regionali per livelli di servizi offerti. Che il sistema sanitario regionale vada messo sotto accusa lo certifica anche il rapporto annuale del Mev sulla cosiddetta «mortalità evitabile».

Le cartine in pagina illustrano come Napoli e Caserta siano i posti dove si verificano più morti evitabili da tumore alla trachea, ai bronchi o ai polmoni. Sono definiti «evitabili» i decessi che si sarebbe potuto scongiurare ricorrendo alla diagnosi precoce. Tuttavia se il sistema sanitario inadeguato fosse il solo responsabile della mortalità più elevata, allora la Campania dovrebbe condividere la sorte con la Calabria, la quale secondo tutti gli indicatori di qualità del servizio sanitario ha una situazione molto simile a quella campana.

E invece la Calabria stacca nettamente la Campania per speranza di vita con 81,9 anni contro 80,5 (come media di tutta la popolazione) togliendosi anche la soddisfazione di scavalcare la ricca Valle d'Aosta. Ci sono altre motivazioni, quindi, a rendere più debole la salute dei campani e dei napoletani in particolare. Una traccia è contenuta nel report dell'Istat sui «fattori di rischio per la salute», nel quale si indicano quattro killer: fumo, obesità, alcol e sedentarietà. Iniziamo dal tabacco.

La Campania è la regione d'Italia con la più alta percentuale di fumatori, pari al 22,2% della popolazione dai 14 anni in su. La media nazionale è del 20% e sotto la media si trovano tre regioni del Sud: Basilicata, Calabria e Puglia, territori rispettivamente con 1,5 1,4 e 1,9 anni di maggiore aspettativa di vita. La conferma che non fumare allunga la vita. Il secondo killer monitorato dall'Istat è il peso. Che è eccessivo (sovrappeso più obesi) per il 51% dei campani, un livello superato solo dal Molise con il 52,6%. Nel Nordovest le persone che pesano troppo sono dieci punti percentuali in meno della Campania: il 41%. Il terzo killer è l'alcol, il quale non fa male in sé bensì quando è bevuto in modo errato. Il report dell'Istat individua due comportamenti errati. Quello di chi beve sistematicamente troppo e quello di chi si avvicina occasionalmente agli alcolici ma lo fa con il cosiddetto «binge drinking», cioè l'«abbuffata alcolica» nella quale cadono soprattutto i giovani durante il fine settimana.

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